Ho un nuovo amico. Parlo spesso con lui, lo incoraggio e lui mi incoraggia. È fuggito da un luogo invivibile del Medio Oriente. Dopo alcuni tentativi, è arrivato in un’isola greca e progettava altre tappe verso il suo sogno: vivere in Italia.
Ha cercato di ripartire, ma gli è andata male. Stava studiando le contromosse – e non è lavoro da poco – quando il mondo si è fermato e le frontiere si sono fatte ancora più ristrette. Sono stati bloccati anche i colloqui attraverso i quali le autorità decidono se si abbia diritto allo status di rifugiato. In condizioni non eccezionali trascorrono mesi e mesi. Adesso, chissà. Il mio amico ha contatti con una ong italiana, una delle tante delle quali non parla mai nessuno. Mandano coperte e oggetti di uso quotidiano che, con un gruppetto di amici, impacchetta e poi porta ai bimbi del campo. Che sono un migliaio e i pacchi non bastano mai. In quell’isola di notte fa freddo e una coperta fa la differenza.
È felice quando riesce a portare qualche aiuto, non dà troppo peso al fatto di essere bloccato lì. Ovvero, ne soffre, ma razionalizza. Dice: non mi sono fermato solo io, si è fermato il mondo, non posso farci nulla. Il mio amico è tenace e sono sicuro che riuscirà to reach his dream. Lui spera che tutto torni come prima, difficile come prima, quando era possibile progettare la fuga e l’approdo.
E poi spera che tutto cambi e sia meglio di prima. Sa che non è facile, che è un percorso pieno di ostacoli. Ma ha il suo sogno. Lo impegna molto. Non si arrende.
Pubblicato sul numero 55 della Falla, maggio 2020
Immagine di copertina agensir.it, immagine nel testo repubblica.it
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