Ricordando Andrea Ginzburg, scomparso lo scorso marzo, alcuni colleghi della Facoltà di Economia di Modena hanno usato un bellissimo verbo, “sconfinare”, per descrivere il suo metodo di lavoro. Superare i confini, non riconoscerli come limite. Sconfinare con la mente, in quegli spostamenti di luogo chiamati migrazioni, nelle identità.
Imparare a disimparare ne è parente stretto. La curiosità verso l’altro, l’altra che è in noi e oltre noi e che per conoscere dobbiamo imparare per poi disimparare e di nuovo imparare. Non è così anche quando si fa l’amore e si prova sempre un nuovo piacere?
Spesso ci si attacca alle definizioni, oramai molteplici e autogenerantesi. C’era il movimento Lgbt, poi Lgbtq, poi Lgbtqi e si può essere certi che la sigla avrà nuove varianti. Bene, se significheranno una molteplicità di identità che si mescolano, sconfinano, che si annusano. Non altrettanto positivo se esprimono lontananza, se servono per prendere le distanze da altre identità.
Si avverte una marcata propensione nel voler definire ogni sfaccettatura delle personalità umane. Quasi che definendole, confinandole, le identità non facessero più vibrare le corde della paura per ciò che è nuovo o ignoto; rassicurando. Tu sei quella e stai lì, io sono questa e mi colloco qui. Compagni di sigla, forse, Lgbtqie (eccetera), non di esistenze.
Uno statunitense vissuto due secoli fa, Walt Whitman, scrisse: “Mi contraddico? Benissimo, sono vasto, contengo moltitudini”. Sconfinare, germogliare…
pubblicato sul numero 34 della Falla – aprile 2018
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