«Sabato due agosto ottanta nella grande camerata pressoché deserta […] la radio trasmette la solita colonna sonora di qualsiasi ora libera all’interno di un dormitorio e quindi discomiusic, canzonette del festivalbar, sceneggiate napoletane, giochini e indovinelli con un trapasso maniacale da una stazione all’altra […] E così fra parole smozzicate e sfrigolii d’antenna si capta dal segnale nazionale quel che è successo a Bologna. Scatto in piedi e chiedo al najone in mutande di farmi ascoltare bene, di tornare all’edizione speciale del giornale radio. Così riusciamo a beccare il fatto, la stazione di Bologna è saltata, parlano di una caldaia. Arriva un casertano dagli uffici, trafelatissimo, […] Anche lui dice di questa storia, che al ministero c’è un po’ di confusione ma che tutti credono in una fatalità e allora io dico che è davvero sfiga alta e massima che qualcosa si rompa proprio di sabato e per giunta d’agosto e non invece alle tre del mattino di un qualsiasi uggioso e tedioso novembre quando tutto tace ed è deserto, insomma ogni ora è buona per tirare i remi in barca però accidenti. Questa è stata la mia prima pensata, così su due piedi. Lo ricordo benissimo perché poi sono uscito per Roma a comprare i giornali del pomeriggio e la sera, alla Galleria Colonna dove noi senzatele spesso si andava per raccattare notizie nazionali, si sono finalmente viste le immagini tremende in compagnia di una piccola folla curiosa e muta fatta soprattutto di turisti e di altri senzatele come noi. E lì appunto davanti a tutto quel sangue e quella distruzione orrenda non ci sono stati più dubbi, certo che non poteva essere una maledetta caldaia, figuriamoci, tutta l’ala buttata giù, il sottopassaggio che per tante volte s’era percorso con la Faffy e le altre compagne di università tutto andato con quello scoppio, tutto lì che fuma nella polvere e nel sangue davanti ai nostri occhi».
È Pier Vittorio Tondelli a scrivere queste parole in Pao Pao (1982), informando la letteratura italiana dell’attentato alla stazione di Bologna avvenuto appena due anni prima.
I fatti
Il 2 agosto 1980, alle ore 10:25, una bomba composta da compound B esplode nella sala d’aspetto della seconda classe della stazione di Bologna, snodo ferroviario importante e particolarmente affollato nei giorni di agosto fatti di turismo, partenze e ritorni. L’esplosivo causa il crollo dell’intera ala ovest dell’edificio: i morti sono 85 e i feriti più di 200.
Agghiaccianti le testimonianze di chi è sopravvissuto. Tonino Braccia si racconta a BolognaToday: «a farmi riprendere i sensi l’acqua della toilette del treno che mi sovrastava, mentre tutto intorno era il caos, il panico. Ero steso sul primo binario immobilizzato, sotto un treno, un braccio non lo sentivo più e con l’unico occhio che sono riuscito ad aprire ho visto persone distese, forse morte». I corpi delle vittime raccontano tutta la verità di quell’orrore. Uno su tutti quello di Maria Fresu, 24 anni, morta nell’attentato insieme alla figlia Angela di 3 anni. Del suo corpo sono stati ritrovati solamente una mano con 3 dita, lo scalpo, un osso mandibolare con tre denti, le due arcate sopraccigliari e un occhio. Una perizia del 2019 ha poi stabilito che il Dna estratto da queste spoglie non appartiene in realtà a Fresu, relegando nell’anonimato la memoria di un corpo già dissolto 39 anni prima.
Siamo di fronte al più grave attentato terroristico commesso in Italia nel secondo dopoguerra.
Nel corso di questi 41 anni le indagini hanno subito rallentamenti e depistaggi, tanto che, di fronte alle molteplici ricostruzioni, l’unica verità a cui possiamo rifarci è quella giudiziaria.
Il 23 novembre 1995 la sentenza di quinto grado emessa dalla Corte Suprema di Cassazione – il precedente giudizio di terzo grado si era infatti risolto in un annullamento con rinvio del processo d’appello – stabilisce che gli esecutori della strage di Bologna sono terroristi neofascisti appartenenti ai Nuclei Armati Rivoluzionari (Nar). Vengono quindi condannati all’ergastolo Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, condanna a cui si aggiunge quella per banda armata insieme a Gilberto Cavallini ed Egidio Giuliani. Non agiscono da soli gli estremisti di destra, infatti la Suprema Corte certifica la collaborazione nell’attentato della loggia massonica Propaganda 2 (P2), già infiltrata nel Servizio informazioni e sicurezza militare (Sismi). La medesima sentenza del ‘95 condanna quindi per depistaggio Licio Gelli (capo della P2), Francesco Pazienza (collaboratore del Sismi), Giuseppe Belmonte e Pietro Musumeci (ufficiali del Sismi).
Nel 2007 verrà condannato per strage in via definitiva anche Luigi Ciavardini (Nar), diciassettenne all’epoca dei fatti, motivo per cui il suo caso ha seguito un diverso iter processuale.
Sull’attentato alla stazione di Bologna, dunque, abbiamo la firma dei Nar, della P2 e di una componente deviata dello stesso Stato italiano.
Per una ricostruzione puntuale delle vicende giudiziarie e del clima in cui queste si sono svolte, rimandiamo al nostro Oggi, 2 agosto 1980. La strage, il passato, il presente (2019).
Sviluppi processuali: 2017-2020
Dal 2017 al 2020, sono almeno due gli sviluppi importanti sul fronte giudiziario: il processo a Gilberto Cavallini e l’inchiesta sui mandanti della strage.
Formatosi culturalmente a Milano, negli ambienti della curva interista, Gilberto Cavallini milita nella Giovane Italia del Movimento Sociale Italiano e comincia a uccidere per conto dell’estrema destra fin da giovanissimo. Nella seconda metà degli anni ‘70, il Negro – questo il suo soprannome – evade dal carcere durante un trasferimento e comincia una lunga latitanza protetto da Ordine Nuovo. È nel 1979 che si lega ai Nar, iniziando un sodalizio duraturo proprio con Fioravanti. La sentenza del 9 gennaio 2020, emessa dalla Procura Generale della Repubblica di Bologna, condanna Cavallini all’ergastolo per aver fornito supporto logistico a Mambro, Fioravanti e Ciavardini, ospitandoli a Treviso prima dell’attentato del 2 agosto, fornendo loro documenti falsi e un’auto.
Cavallini continua a dichiararsi innocente, così come gli altri tre Nar condannati in via definitiva.
L’11 febbraio 2020 la stessa Procura di Bologna termina l’inchiesta sui mandanti e sui finanziatori dell’attentato terroristico.
Paolo Bellini (ex Avanguardia Nazionale) è accusato di concorso in strage mentre Licio Gelli, Umberto Ortolani (imprenditore e banchiere, mente finanziaria della P2), Federico Umberto D’Amato (alto funzionario del Ministero dell’Interno) e Mario Tedeschi (giornalista e senatore missino) vengono accusati di aver organizzato e sovvenzionato il 2 agosto nero del 1980. Nell’ambito dell’indagine, la Guardia di Finanza di Bologna ha ricostruito i flussi di denaro – stimabili in circa 5 milioni di dollari – che dai conti di Gelli e Ortolani sarebbero poi stati destinati a D’Amato e Tedeschi, indicati come organizzatori dell’intera operazione, e al gruppo dei Nar.
Anche il raggio d’azione all’interno dei gangli marci dello Stato amplia il suo spettro, vengono infatti accusati di depistaggio Quintino Spella, ex generale dei servizi segreti di Padova, Piergiorgio Segatel, ex carabiniere del Nucleo investigativo di Genova, e Domenica Cadracchia, responsabile di società direttamente riferibili al Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica (S.I.S.De.) impiegate per dare rifugio ai Nar presso i tristemente noti appartamenti di via Gradoli.
Il quadro che va delineandosi assume contorni ben precisi e ci mostra come l’eversione neofascista abbia trovato un terreno di coltura fertile nelle pieghe di uno Stato che col fascismo continua non solo a dialogare ma a fondersi e confondersi.
Testimoniare il 2 agosto oggi
La testimonianza del 2 agosto bolognese è un esercizio vigile, costante, faticoso.
Le istituzioni hanno interpretato nei modi più diversi questa funzione che è al contempo ricordo e denuncia. Renato Zangheri, sindaco di Bologna in quegli anni terribili, ai funerali di Stato del 6 agosto 1980 decide di chiamare le cose con il loro nome e parla esplicitamente di terrorismo nero e di avvisaglie dell’eversione neofascista drammaticamente trascurate.
Nel 2019 il ministro della giustizia Bonafede, parlando presso Palazzo D’Accursio ai e alle familiari delle vittime della strage, scandisce parole di pietra: «Più volte sono stato ringraziato per la mia presenza qui, ma la mia presenza qui è doverosa e non è niente di speciale. È speciale invece il fatto che voi mi permettiate di essere qui nonostante la negligenza decennale dello Stato rispetto alla strage che ha colpito i vostri cari». Negligenza decennale dello Stato.
Ancora, il presidente della repubblica Sergio Mattarella, in occasione della commemorazione per il quarantennale della strage, ha indicato tre parole quali punti cardinali per orientarsi oggi nei meandri di una Bologna ancora squarciata dalla bomba: dolore, ricordo e verità.
L’arte condivide con la politica l’esercizio del testimone e di questa partecipazione voglio citare l’esempio più antico e quello più contemporaneo: nel 1981, in occasione del primo anniversario dell’attentato, Carmelo Bene ha declamato una Lectura Dantis dalla Torre degli Asinelli; quest’anno, prosegue invece la posa di 85 sanpietrini – uno per ogni vittima dell’attentato – lungo il il percorso dell’annuale corteo commemorativo che va da piazza Nettuno a piazza Medaglie d’Oro. Un’iniziativa importante questa delle pietre d’inciampo, voluta da Cantiere Bologna, 6000 Sardine, Cucine Popolari e realizzata in collaborazione con gli studenti e le studentesse del biennio di Decorazione per l’Architettura dell’Accademia di Belle Arti di Bologna. Importante perché incide e sparge nella città nomi che non vanno dimenticati e perché coinvolge nell’esercizio attivo del ricordo le generazioni che di quella strage non hanno memoria.
Fondamentale rimane l’azione dell’Associazione tra i Familiari delle Vittime della Strage della Stazione di Bologna del 2 Agosto 1980. L’impegno difficile ma marmoreo dell’associazione, in questi 41 anni, ha dato un contributo fondamentale alle indagini: tra le altre cose, è stato decisivo ai fini della digitalizzazione dei documenti e degli atti processuali, operazione che ha consentito ai magistrati di ricostruire un quadro d’insieme altrimenti smarrito tra le molte carte. Non solo, i e le familiari delle vittime sono riusciti a fare del loro dolore uno strumento profondo di trasformazione civica, spingendo ognuna di noi a fare i conti col proprio senso dello Stato e della storia. Grazie a loro, per esempio, oggi sappiamo che la direttiva Renzi del 2014, relativa alla desecretazione della documentazione sulle stragi avvenute tra il 1969 e il 1984, si è rivelata un’occasione persa, perché, ancora oggi, manca la volontà politica di darne piena attuazione e rimangono molti i documenti non accessibili all’opinione pubblica.
Il nostro compito
«Il fatto di Bologna con quelle cento e più storie distrutte ci atterrì, erano anni ormai che non succedevano cose del genere e mai era accaduto con un potenziale così alto di vite falciate» prosegue Tondelli, sempre in Pao Pao «Non ho parlato comunque di tutto ciò con Beaujean, è troppo giovane, e non può ricordare né Piazza Fontana, né Piazza della Loggia poiché anche io non ricordo il Vajont, solo una notizia persa lungo il cammino della mia esistenza. Mentre invece quegli altri fatti sono tutta una continua risonanza di cortei, assemblee scolastiche, scioperi e manifestazioni, sono insomma qualcosa che fa parte ormai del mio disastrato senso globale, per cui quella sera parlavo con la Baffina e mi sono accorto, proprio per la presenza taciturna del Beaujean, che anche noi stiamo invecchiando, che abbiamo anche noi dei pezzi di storia tragica che abbiamo visto svolgersi ora dopo ora e continuare a svanire e sedimentarsi nel ricordo e cambiare».
Penso che Tondelli abbia indicato una via per noi, penso ci abbia lasciato un compito per quel 2 agosto 1980: far sì che questa non sia solo una notizia persa lungo il cammino delle nostre esistenze. Raccogliere la sfida dell’essere testimoni è per noi l’unico modo per rimanere a contatto con le radici profonde che ci definiscono come cittadine. Decidere di farci testimoni significa rendersi conto che il 2 agosto è un giorno non ancora concluso e che le nostre lancette non sono poi così lontane da quell’orario, dalle 10:25. È del 2019, infatti, l’idea di una proposta di legge, avanzata da due deputati di Fratelli d’Italia, volta a costituire una nuova commissione bicamerale d’inchiesta per far luce sulle connessioni tra la strage di Bologna e il terrorismo internazionale, la così detta pista palestinese e i suoi legami con l’estrema sinistra italiana. Una ricostruzione che la magistratura ha archiviato nel 2015 come non aderente alla realtà. Quest’anno la proposta di legge viene ufficialmente depositata in Parlamento: nelle sue otto pagine non si fa alcun riferimento ai Nar, già condannati, né agli esiti delle sentenze.
Decidere di farci testimoni del 2 agosto 1980, quindi, significa continuare quell’opera di trasformazione del presente che la strage di Bologna ci ha insegnato a fare, anche partendo dalle piccole cose. Oggi, ad esempio, c’è una targa alla stazione di Bologna, una targa che recita: «Bologna Centrale – 2 agosto 1980. In memoria delle Vittime della Strage». Cominciamo dalle piccole cose che tanto piccole non sono: Bologna Centrale – 2 agosto 1980. In memoria delle vittime della strage fascista.
Foto in evidenza di Radio Città del Capo, immagini interne di Manidibologna e Claudio Nucci di La Presse
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