Nella primavera del 1908 gli uomini di Gribe, un piccolo villaggio del Camerun, riportarono come trofeo tanta selvaggina per festeggiare una cerimonia importante. La cacciagione includeva tutto ciò che poteva essere ucciso nella foresta, inclusi gli scimpanzé che popolavano la zona. Prima di essere cucinata e servita, la carne doveva essere macellata da un uomo, il quale, nel farlo, si tagliò per errore. Tagliarsi era uno dei rischi del mestiere e quella non era la prima volta che capitava. L’uomo notò la ferita alla sua mano sinistra vicina ai pezzi di carne di scimpanzé: così il sangue dell’uomo entrò a contatto con quello dell’animale e col sangue passò un virus.
SIV, il virus dell’immunodeficienza della scimmia, in varie occasioni nella Storia era stato trasmesso a esseri umani in circostanze simili, ma mai era riuscito ad adattarsi e a sopravvivere nell’organismo umano trovando la corretta combinazione di mutazioni genetiche per passare da una specie all’altra e diventare dunque il virus dell’immunodeficienza dell’uomo, HIV. Il macellaio si portò la mano ferita alla bocca per disinfettarla con la saliva, poi continuò nel suo lavoro senza dare importanza all’imprevisto, senza sapere di essere “il paziente zero”. La seconda sarebbe stata sua moglie o una prostituta in città, la moglie avrebbe trasmesso il virus ai figli così come la prostituta ai suoi clienti e in questo modo il virus asintomatico si sarebbe diffuso.
Questo racconto è un’ipotesi che dà alla storia di HIV un’origine. È una narrazione fittizia, ma plausibile, e ogni suo dettaglio è basato su analisi genetiche e conoscenze scientifiche sulla biologia del virus. Che HIV derivi da SIV si sa grazie alla somiglianza, sia genetica sia patogenetica, dei due virus: entrambi infatti causano una graduale e forte immunodeficienza, il primo nell’uomo, il secondo nello scimpanzé. La data del racconto è approssimativa ed è ottenuta grazie all’orologio molecolare del virus. Prendendo infatti HIV e conoscendo quanto velocemente muta il proprio corredo genetico possiamo capire quanto ci ha messo a trasformarsi da SIV ad HIV e i risultati di questi studi indicano l’inizio del ventesimo secolo. Le mutazioni sono qualcosa di spontaneo e di regolare, anche nelle nostre cellule: basti pensare che sono la causa dei tumori, ma anche di caratteristiche evolutivamente vantaggiose. HIV, a differenza delle nostre cellule, muta molto più velocemente e le sue mutazioni ci permettono di dividerlo in diversi tipi.
Questi diversi tipi ci permettono di capire la zona di origine del virus, in quanto solo in Camerun li troviamo distribuiti in modo proporzionato, mentre in ogni altra parte del mondo vediamo la predominanza eclatante di un singolo tipo sugli altri. Non abbiamo però solo la distribuzione genetica di HIV a provare che è proprio il Camerun il luogo d’origine, ma anche la presenza degli scimpanzé affetti dal tipo di SIV che più probabilmente è mutato in HIV. Al di là della genetica possiamo capire dettagli dell’origine di HIV mettendolo a confronto con altri microrganismi che sono passati da una specie all’altra in un processo chiamato tecnicamente spillover. Ad esempio, Ebola e il virus dell’Influenza fanno spillover quando determinano epidemie. Il salto tra specie più plausibile per HIV è uno scambio di sangue, poiché è il liquido che contiene le concentrazioni più alte di virus ed è quello più facilmente scambiabile in ambienti rurali dell’Africa occidentale.
La sieropositività è fonte di ispirazione artistica e di discriminazione sociale, uno stato che è accompagnato da protezioni legali speciali, una condizione infettiva culturalmente unica, che si distingue da ogni altra. Ma i metodi di trasmissione e la sua origine sono simili a quelli di altri virus come quelli epatitici. Per questo grazie alla prevenzione possiamo augurarci che questa storia oltre ad un inizio possa anche avere una fine.
pubblicato sul numero 23 della Falla – marzo 2017
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