IL FILM GLI ANNI AMARI ATTRAVERSO GLI OCCHI DI UN ATTIVISTA CHE VISSE QUEL PERIODO

Ero molto curioso di vedere il film Gli anni amari. Mi sono chiesto la ragione di questo titolo, ma mi interessava verificare come si fosse potuta rappresentare una personalità così poliedrica come quella di Mario Mieli. Perché, pur avendolo incontrato solo in tre occasioni pubbliche, lo sento come parte di una mia educazione sentimentale. E uso quest’espressione consapevolmente, avendo presente la lezione del «personale è politico», perché ricordo la magica fascinazione di un’estate in cui, ventunenne, leggevo nelle spiagge spagnole insieme al mio primo amore i suoi Elementi di critica omosessuale, indifferente alla calura quasi soffocante, animato da quel che mi comunicavano: mi sorprendeva la lucidità con la quale le utopie in cui mi ritrovavo, la scoperta di una politica del corpo che mi comprendeva e mi rappresentava, venivano delineate. La personalità di Mario, poi, non aveva lasciato tracce solo nell’elaborazione teorica, ma anche segnato tappe fondamentali di significazione – che in gran parte il film effettivamente riprende – come il Festival del proletariato giovanile al Parco Lambro, gli spettacoli dei Com (Collettivi Omosessuali Milanesi) che in l*i avevano un animatore di particolare energia propositiva, la provocazione sul palco con Dario Fo al Convegno contro la repressione del ‘77 o la partecipazione a incontri di movimento come quello tenutosi a Roma nel novembre ‘79 in un ex convento occupato.

Quel che ho visto mi ha complessivamente deluso. La personalità di Mieli mi sembra ridotta a una rappresentazione macchiettistica e piuttosto stereotipata, che poco restituisce della ricchezza degli stimoli che si possono ricavare dalla lettura dei suoi testi, ma anche delle immagini video che ci sono pervenute, purtroppo in numero limitato. Ciò che poi mi sembra sia mancato completamente è la capacità di rendere quel clima di cui Mieli è stato un’espressione certamente particolare e radicale, ma che aveva appunto la fondatezza di una lucida follia collettiva. Capisco che sia molto difficile rendere l’aria che si respirava in quegli anni e, per esempio, riprodurre una situazione come quella che vide decine di migliaia di persone confluire a Bologna nel settembre del ’77, ma tutta la dimensione di profondo ripensamento del reale che animava anche i momenti di ritrovo dei collettivi omosessuali, a volte coinvolgendo poche decine di persone, mi pare assolutamente assente. Ricostruire, per esempio, le riunioni di un collettivo come una serie di autoreferenziali scheccate da salotto mi sembra sinceramente riduttivo. Manca, insomma, la politica, e ancora più specificamente la politica del corpo.

Una scena esemplificativa di quanto non trovi corrispondente il film a quegli anni e alla personalità di Mieli così come è rappresentata è quella – di cui esiste effettivamente una registrazione documentaria – in cui si presenta davanti ai cancelli dell’Alfa Romeo di Arese, allora uno dei templi di quella “centralità operaia” che era diventata una sorta di mito. Pare, nel film, che Mieli si presti alla sceneggiatura di un’équipe Rai con lo scopo principale di irridere le posizioni arretrate di quell’“operaio-massa” ormai destinato alla sconfitta per la sua antimodernità. Io nella scena documentata vedo invece una sorta di lettura rivoluzionaria dei Comizi d’amore di Pasolini, in cui si vuole evidenziare la «contraddizione in seno al popolo», indicare quanta strada c’è da fare anche nella sinistra per avviare un cambiamento totale come quello che Mieli – e non solo l*i, quasi come mistico marziano disceso in terra – proponeva. Ma non certo una ridicolizzazione del “popolo incolto”, come invece parrebbe si voglia ottenere nel film. Mieli attaccava, anche con radicalità, le forme della politica, quella riformista come quella della sinistra rivoluzionaria cui pure si sentiva più vicino, ma questo non significa certo un disprezzo aristocratico verso “il popolo bue”. Mentre, purtroppo, questa scena si presta facilmente a una simile interpretazione.

Così mi sembra che, perlomeno da questo punto di vista, della possibilità di raccontare, attraverso la vicenda di Mario, quella di tantissim* altr* che in l*i si potevano riconoscere, spesso conoscendolo più che altro attraverso i suoi scritti, si sia mancata un’occasione preziosa. Per questo credo che la delusione sia stata profonda e, a quanto ne so, non soltanto per me, ma anche per molt* di coloro che quegli anni hanno vissuto o conosciuto. Certo, è importante fare arrivare Mieli e la sua esperienza a chi ne sa poco o nulla. Ma è auspicabile che quel che arriva non sia travisato da una serie di sketch che a volte paiono mancare di un vero filo conduttore interpretativo.

Immagine di copertina da internazionale.it

Immagini nel testo da mymovies.it; wikipedia.org; wired.it