di Nina K
La giornata internazionale della visibilità lesbica, nata in sordina, compie oggi – sempre in sordina – il suo sedicesimo compleanno. Nel tempo abbiamo imparato a conoscere il 26 aprile come un appuntamento stanco, di cui ci si dimentica facilmente, sia dentro che fuori la comunità LGBTQIA+.
Anno dopo anno, i canali mediatici tradizionali continuano a cercare di vendere i rari e distratti incisi su questa giornata come magnanime concessioni, in un grottesco tentativo di dare un contentino ad un gruppo sociale che viene percepito come generalmente placido. Nel frattempo, nonostante il movimento transfemminista sia arrivato ad una complessità di elaborazione e decostruzione inimmaginabile fino a pochi anni fa, l’ombra in cui le persone lesbiche sono state confinate per secoli ha avuto il potere di renderne la produzione culturale e artistica quasi del tutto invisibile. Tentando di sottrarre all’oblio perenne l’eredità intellettuale di innumerevoli donne e persone non-binarie, più volte la nostra comunità ha sfruttato il 26 aprile come occasione di riscoperta storico-culturale. Molte voci si sono espresse sulla necessità di rappresentare e amplificare l’identità lesbica all’interno dei mass media, riconoscendo finalmente le soggettività non conformi come parte integrante della società.
Le varie iniziative sulla storia del movimento lesbico e delle individualità che ne hanno fatto parte sono state cruciali per aiutare moltissim* giovani queer ad avere nuovi punti di riferimento culturali, liberi dall’occhio arbitrario di un sistema educativo cieco al ruolo che hanno avuto le donne e le identità non conformi in ogni campo del sapere. È anche così che, pur in modo disordinato e frammentario, ognuna di noi si è potuta immergere nelle letture di Audre Lorde, perdere nella scena pulp di Ann Bannon e immedesimare con le componenti delle Daughters of Bilitis. Purtroppo o per fortuna, però, tutto questo non è abbastanza. In questi anni siamo cresciut*, sia individualmente che come movimento: la moltiplicazione del nostro patrimonio storico-artistico non è più sufficiente a rendere visibile una realtà robusta, complessa e fortemente interconnessa. D’altronde, i moti di Stonewall hanno cristallizzato l’uscita dell’identità queer dalla dimensione individuale e privata, trasformando con forza inesorabile la nostra esistenza in un discorso pubblico e politico.
Attraverso un costante lavoro di interconnessione, decostruzione e scontro con soggetti ostili, la comunità lesbica ha contribuito a costruire il movimento transfemminista che sta mettendo in discussione le fondamenta di un sistema costruito a misura di determinati gruppi sociali. A cavallo tra due millenni, abbiamo riscoperto gradualmente la nostra alterità storica e culturale, scovando dei simboli comuni su cui abbiamo costruito un’autocoscienza intersezionale. Non solo, la visibilità – pur interna – che ha acquisito il mondo lesbico ci consente ora di avere una solida base comune da cui partire per progredire verso una società più equa e inclusiva, per tutt*. Parallelamente, la nostra comunità ha per anni portato avanti iniziative di mutuo supporto sul territorio, impegnandosi silenziosamente ma inesorabilmente per sostenere dall’interno una comunità formata da persone spesso isolate, disconosciute e sole. Così, se è vero che “la Lesbica” fa parte della società generale e vi è immersa nella sua vita quotidiana, è altrettanto vero che il mondo queer ha creato delle strutture diverse e ormai indipendenti da quelle dominanti.
Nel 2024, in Italia così come in molte altre parti del mondo, è chiaro il totale scollamento tra la rappresentazione generale della comunità lesbica e quello che vivono le persone che ne fanno parte. Mentre la maggior parte del dibattito pubblico generale tende a sessualizzarci o a ridurci a un manipolo di radicali brutte e arrabbiate, noi viviamo la nostra quotidianità contribuendo a far germogliare il tessuto sociale in cui viviamo. Intersezionali per antonomasia, le persone lesbiche si sono impegnate a lungo per ampliare la lotta femminista a tutte le identità non conformi, sottolineando la necessità di riconoscere quanto le discriminazioni siano stratificate all’interno della società patriarcale. Un’espressione organica che si è rivolta – e che deve continuare a rivolgersi – anche al proprio gruppo, prendendo le distanze da qualsiasi posizione esclusiva e discriminatoria verso ogni identità marginalizzata. È per tutti questi motivi che il substrato sociale denso, vivo, dinamico che conosciamo non può più accontentarsi di un appuntamento secondario, quasi accondiscendente sulla sua stessa visibilità. Soprattutto, non possiamo né vogliamo più ringraziare per le briciole che ci vengono così gentilmente concesse da istituzioni che hanno sempre scelto e continuano a scegliere di non rappresentarci. Le varie ramificazioni su cui il movimento lesbico si è mosso nel passato ci permettono infatti ora di avere un’intera comunità a nostro supporto, e dei punti di riferimento sani e sicuri. La giornata della visibilità lesbica del 2024 potrebbe così diventare il momento in cui ci rendiamo conto che abbiamo raggiunto la maturità per avere piena autonomia e porci definitivamente come uno dei punti di riferimento per il cambiamento sociale a 360°. Non la cultura, non la politica, non la visibilità: vogliamo tutto.
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