Anche se appare ormai evidente che troppi preferiscano ancora un uomo morto a un uomo gay, cosa spinge alcuni di noi a non accettare la propria natura? Cosa porta a vivere nascosti? Per quale motivo sono sempre più coloro i quali si ritengono “fuori dai giri”?
Anche se è considerato ancora quasi un gesto coraggioso un bacio omosessuale in pubblico o camminare mano nella mano con il proprio compagno o con la propria compagna, per quale motivo bisogna ribadire la propria non appartenenza a un determinato “giro”, se non per paura di essere giudicati o discriminati?
Se non ci si sentisse rappresentati dai tanto famosi quanto poco definiti “giri”, non avrebbe molto senso ribadire di esserne fuori. Se si trattasse solo di tenere le distanze, l’indifferenza sarebbe l’arma migliore. Quando però entra in gioco la vergogna, ecco che ribadire chiaramente che non si appartiene a una determinata cerchia può forse dare qualche sicurezza in più a una già vacillante autostima e ad un’identità che sembra quasi abbia bisogno di negare qualcun altro per affermare se stessa.
Ma poi, cosa saranno mai questi “giri”? Quali sono i loro confini? Chi li ha creati e perché? In generale, sembra quasi che questi “giri” siano legati ai vari circoli e associazioni LGBT+, senza andare troppo per il sottile, senza distinguere gruppi di attivismo da gruppi con scopi fondamentalmente orgiastici, senza distinguere un’associazione con scopi sociali da uno dei tanti harem più o meno riconosciuti e più o meno evidenti, creatisi attorno ad una personalità carismatica, influente, con determinate doti.
Bisogna ammettere che questa storia che tutti conoscono tutti (in senso biblico) ci sta un po’ sfuggendo di mano e di tanto in tanto può risultare snervante, ma allo stesso tempo, che ci si potrà mai aspettare da una comunità tutto sommato ben circoscritta, quasi autosufficiente, una sorta di microcosmo a sé stante?
In realtà, questi giri non esistono, nossignore. Questi ‘giri’ altro non sono se non esempi di aggregazione, semplice manifestazione della naturale propensione dell’uomo a creare un proprio branco, chiamasi associazione, chiamasi circolo, chiamasi harem di friends with benefits. Ciò che invece esiste eccome, è l’ennesimo motivo di discriminazione che scaturisce da tutto ciò, come se già non ne avessimo abbastanza. Due fazioni: da una parte i ‘fuori dai giri’ che ritengono gli ‘altri’ come troppo appariscenti, eccessivi, quasi volgari e quindi da tenere alla larga. Dall’altra parte, gli ‘altri’ che considerano i primi come complessati, paranoici e repressi, e in quanto tali non degni di essere conosciuti.
C’è chi definirebbe i ‘fuori dai giri’ come color che mai non fur vivi. Rinnegare la propria appartenenza a un gruppo che può piacere o meno, con ideali che si possono condividere o meno, è uno dei mille modi che la mente umana ha per reprimere la propria natura, quando questa non rientra nei canoni che vengono imposti o che ci auto-imponiamo. Sembra che a scrivere nelle chat e a ribadire “fuori dai giri” si voglia ricordare a se stessi di essere un omosessuale non troppo appariscente, non colorato, una sorta di omosessuale in bianco e nero. Gay, ma non troppo.
pubblicato sul numero 17 della Falla – luglio/agosto/settembre 2016.
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