di Vincenzo Branà
Alla fine mi sono convinto che dovremmo tutte e tutti imbracciare una lotta ostinata contro l’ideologia del gender. Perché è vero, esiste un pensiero che da decenni, anzi secoli, lavora sottotraccia e che nel tempo ha drogato la nostra cultura e le nostre pratiche, creando effetti deleteri. In Italia fino al 1977 nelle scuole le alunne frequentavano corsi di economia domestica mentre i maschietti si dedicavano ad attività tecniche manuali. E fino al 1981 il crimine che oggi chiamiamo femminicidio godeva di un’attenuante, in caso di adulterio, chiamata delitto d’onore. Di questa storia ereditiamo ancora molto.
E se i movimenti delle donne, da decenni mobilitati nel nostro Paese, ancora oggi non possono affatto dare per acquisita quella parità per cui sin dalla prima volta scesero in piazza, siamo distanti anni luce dal potere aprire un dibattito efficace sulla castrazione che le nostri leggi, e prima ancora la nostra cultura, impongono alle persone transessuali e intersessuali, per comprenderle in un paradigma che è solo ideologico. Perciò dovremmo lottare tutti e tutte, tenacemente, contro la vera ideologia del gender, senza limitarci a una risata incurante quando un’esaltata dà alle stampe un libro sul matrimonio e la sottomissione, ma anzi stando attenti a riconoscere il radicamento culturale dei suoi deliri, che è il nostro vero avversario. Il pericolo di questi borderline è proprio quello di distrarci da chi, inosservato, reitera messaggi della stessa natura, celati in vesti più accattivanti di quelle del pingue Adinolfi.
E soprattutto facciamo controinformazione! Come stanno facendo ad esempio le amiche e gli amici del MIT su Real Time con Vite Divergenti, un format che ogni lunedì sera dà voce a una storia. Sarebbe bello che quella striscia settimanale diventasse campione d’ascolti e che ci risvegliassimo tutte e tutti domattina in un Paese in cui le storie vere vincono sui falsi profeti.
pubblicato sul numero 8 della Falla – ottobre 2015
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