L’appuntamento con le urne del prossimo 4 marzo ci condanna inevitabilmente a un febbraio di propaganda martellante. Il primo dato che occorre considerare e di cui già questo incipit porta traccia è senza dubbio l’insofferenza: fare politica, o meglio farla avendo come interlocutori i partiti, non trasmette più alcun fascino né entusiasmo. Dichiararlo non significa assumere una posa o incamminarsi sull’Aventino, semmai autodenunciare il pensiero che ogni sera ci porta a preferire Netflix a qualsiasi talk show elettorale. E soprattutto dirlo serve a farsi carico seriamente dell’unico risultato già certo, cioè la grande vittoria dell’astensionismo, di cui questa insofferenza è l’evidente anticamera. Per provare, magari, a indagarne le cause. Una politica che istituzionalizza il conflitto di interessi, eleva il clientelismo a modello, coltiva gigli magici, esibisce supponenza e atteggiamenti da branco e dispensa promesse da marinaio non ha nulla che la renda affascinante e forse nemmeno rispettabile. E questa politica – a qualsiasi latitudine o altitudine – conserva tronfia i vizi di sempre: è ingorda, troppo spesso imbrogliona, inaffidabile, testosteronica come un tifoso alla stadio e paternalista come un cappellano di provincia. Ed è omofoba, sessista, misogina, non per diretta responsabilità degli attori in campo, semmai perché tutti e tutte, in qualche modo, contribuiscono alla partita senza alcuna ambizione a discuterne regole e regolarità. Chiamati a scegliere, sceglieremo. Ma non senza denunciare la miseria del panorama che abbiamo di fronte, responsabilizzandocene anche, ma soprattutto attenti e attente a non abituarsi a pensare che tutto questo, in qualche modo, sia normale.
pubblicato sul numero 32 della Falla – febbraio 2018
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