di Vincenzo Branà
Chissà come usciremo da questo frullatore di parole: dal matrimonio alle unioni civili, dal coniuge al partner, dalla famiglia alla “formazione sociale specifica”. E poi la pensione, la reversibilità, le “tasse che paghiamo come tutti”, in un Paese di privilegiati che non le pagano e di invisibili a cui è perfino tolto il diritto a una casa e a un reddito, perciò le tasse manco sanno cosa sono.
Chissà come verremo fuori da questo corpo a corpo di parole e immagini che combattiamo contro la parte più gretta che abita questo Paese, come racconteremo tra trent’anni quei talkshow in cui mamme lesbiche e papà gay erano umiliati e presi a insulti dal teocon o dal teodem. C’è un costo vivo associato a ogni battaglia: è fatto di fatica, sacrificio, rabbia, a volte perfino dolore. È un costo che non deve mai dissuaderci dal combattere ma che occorre contabilizzare, tenere presente, specie quando non passa direttamente dalla nostra pelle. Serve tanta empatia nella battaglia, per capire quanto resiste chi combatte assieme a noi.
Finita questa volata, quando sarà approvata anche in Italia la prima legge che parla delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dei loro figli, probabilmente ci verrà spontaneo festeggiare, quantomeno per chi dal giorno dopo si troverà in una condizione decisamente migliore. Ma dovremo anche leccarci delle ferite, lenire qualche dolore che ci è rimasto dalla lotta, capire se c’è qualcosa, nella corsa, che abbiamo perso per strada. Tenendo sempre a mente che la Liberazione, la madre delle nostre battaglie, non è una una volata ma una lunga maratona, una staffetta che ci viene dalla Storia. E che noi, il nostro tratto di corsa, lo abbiamo appena cominciato.
pubblicato sul numero 12 della Falla – febbraio 2016
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