LA SCOMPARSA DEL CLUBBING AI TEMPI DEL COVID
Avete mai notato come, nelle discussioni politiche e sui media, si parli sempre della situazione drammatica di teatri, cinema e, quando va bene, dei locali per musica dal vivo? A parte la tragicomica parentesi agostana sui (pochi) club riaperti, saliti alla ribalta delle cronache per gli assembramenti e i vip calcistico-politico-televisivi che li frequentano (tra l’altro, pare che i giornalisti italiani conoscano solo due discoteche in tutta la penisola…), di club non parla mai nessuno. Certo, il clubbing è abituato a essere trattato come la Cenerentola dell’intrattenimento, la pecora nera un po’ scomoda e imbarazzante, ma ho come l’impressione che nella fascia d’età tra i 17 e i 30 anni siano più le persone che frequentano regolarmente i club di quelle che possiedono una tessera annuale per il cinema d’essai sotto casa (che tra l’altro adoro). Intendiamoci, non è una questione di teatro vs club, di cultura alta vs cultura popolare, di contenuti nobili vs contenuti superficiali o addirittura di non contenuti. Si tratta semplicemente di un bagno di realtà, di una constatazione, e della preoccupazione che a scomparire dal radar della politica siano tutti gli operatori e le operatrici che da questo settore dipendono. Voglio correre consapevolmente il rischio di essere molto retorico, ma quanti di noi hanno esperienze, ricordi, racconti legati al club? Le chiacchiere con gli amici in coda all’ingresso, la nascita di nuove amicizie, la passione di una notte o di una storia d’amore, una festa di compleanno o quella della laurea, una sbronza epica filmata con lo smartphone che ciclicamente viene fuori nei racconti delle notti brave. O anche una sfuriata dolorosa con il proprio partner, il cellulare perso chissà come – e adesso come lo dico ai miei, ché avevo detto che ero a casa di Marco -, o la rissa inaspettata che ci ha sfiorato per un soffio e che il giorno dopo era sul quotidiano locale. Per me il club ha avuto un’importanza fondamentale, che non esagero a definire formativa. Il club è stato una vera e propria epifania. Nei club ho trovato, da adolescente, una sorta di contraltare al mondo in cui vivevo, gretto, grigio, provinciale, soporifero, privo di stimoli. Ho trovato un mondo in cui esprimermi, in cui l’eccesso era la norma, in cui la provocazione era un codice condiviso, esaltato, in un certo senso un elemento necessario per partecipare al grande rito dionisiaco del dancefloor. Nei club ho imparato a vivere alla luce del sole, o meglio della strobo, la mia sessualità e a portare questa fiducia acquisita anche fuori da quelle mura. Ho imparato a flirtare, a cercare di decifrare sguardi e sorrisi, a fare il primo passo e a rischiare di venire respinto. Ci ho ballato, nei club, e ci ho fatto sesso. Grazie ai club ho ampliato le mie conoscenze musicali. Nei club ho provato la gioia estatica e primitiva del ballo, della musica che attraversa il corpo, che fa vibrare la mente. Ho conosciuto tante persone straordinarie, in senso letterale ovvero fuori dall’ordinario, persone creative, curiose, persone che non si accontentano del mondo così com’è. Certo, nei club ho incontrato anche tanti imbecilli, ma non sono certo qui a dire che i club siano il paradiso, quello non esiste da nessuna parte. In questi tempi di rehab forzato dal clubbing, che per me è innanzitutto lavoro, mi è capitato di pensare più di una volta a quell’odore speciale che si sente quando si varca la soglia di un locale prima dell’apertura al pubblico, e in particolare a quello ancora più intenso e specifico, ormai appannaggio esclusivo di certi club berlinesi, dove ancora è possibile fumare. Quel misto di odore di cantina e di posacenere, di profumo dolciastro del fumo che la smoke machine vaporizza senza sosta durante la notte, ovattando la visione di dancefloor già bui, quell’odore pungente di divanetto intriso dei drink versati a causa dei movimenti maldestri degli sbronzi o di quelli noncuranti degli amanti. Ecco, a volte penso a quell’odore, e allora chiudo gli occhi, inspiro forte e lo sento salire nelle narici della mia memoria. E mi manca tantissimo, perché per me è odore di casa.
Pubblicato sul numero 60 della Falla, dicembre 2020
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