INTERVISTA A ILARY BLUSH, LA DRAG PIÙ ODIATA DA SIMONE PILLON. ALMENO PER IL MOMENTO
di Irene Moretti
Dino Fonti ha 23 anni e viene dal cuore della Sicilia, studia giurisprudenza ed è una drag queen. Anzi, LA drag queen. Con il suo alter ego Ilary Blush ha partecipato alla lezione organizzata dalle studentesse e dagli studenti del liceo Laura Bassi di Bologna e si è ritrovato, suo malgrado, a essere vittima di attacchi e insulti, dopo che il senatore leghista Simone Pillon ha dato in pasto ai suoi fan il video della sua esibizione.
La Falla ha deciso di farci due chiacchiere lunedì 18 febbraio, qualche ora prima del drag bombing indetto sulla bacheca di Pillon.
Dino, innanzitutto, come stai?
Sto bene. Però magari sbirci i commenti, quello che pubblicano, e vedi che postano il tuo video, ti trovi nella bacheca di una persona che non conosci. C’è anche una fake news: quella sull’aver parlato di gender. Io ho parlato di bullismo, di body shaming e del mio lavoro. Ho fatto capire che puoi essere una drag e un giurista. Sto un po’ così.
Come ti sei accorto di essere finito sulla bacheca di Simone Pillon?
Degli amici me l’hanno condiviso in chat. Prima c’è stato il post di Galeazzo Bignami su Facebook. Lui l’ha fatta peggiore: l’ha sponsorizzato su Facebook e me lo sono trovato nelle inserzioni.
Come è nata l’iniziativa alle Laura Bassi?
Sono stata contattata da tre ragazze che hanno proposto l’iniziativa. Stanno iniziando ora a fare le bio queen [drag dello stesso sesso in cui ci si identifica, ndr].
Ragazze del Laura Bassi?
Sì, del quarto e del quinto anno.
Quindi conoscevano già il mondo drag?
Lo conoscevano già, certo. A livello artistico sono praticamente mie nipoti. Mi hanno voluto chiamare. Facendo lo speaker, ho una certa parlantina e tratto i diversi temi in maniera più spigliata.
Come si è svolta la tua performance alle Laura Bassi?
Le ragazze hanno parlato della storia drag. Erano due scaglioni: dalle nove e mezza alle undici abbiamo parlato con terze, quarte e quinte; poi il biennio dalle undici all’una. Quando sono arrivata io, ho iniziato un monologo dicendo che ero emozionato di essere lì. Avevo un nodo in gola e loro mi hanno fatto applauso enorme. Ho visto tanta collaborazione da parte del triennio, gente che rideva e scherzava, invece il biennio era più composto, cercavano di capire chi avessero davanti. C’erano un ragazzino di 14 anni e il suo amichetto che, quando sono entrato, si sono dati una gomitata mettendosi col culo appoggiato a una parete, ma solo loro. Gli altri guardavano con interesse, mentre ad alcuni non fregava niente e se ne sono andati.
Cosa ti hanno chiesto le ragazze e i ragazzi della scuola?
Come nasce il personaggio, di cosa mi occupo nella vita. Domande a livello artistico e a livello personale, tipo come è andato il coming out.
Puoi raccontarci del tuo coming out come drag queen?
Mio padre non lo sa. Mia sorella e mia mamma lo sanno. Mia mamma era preoccupata, venendo da Caltanissetta… Però mi adora. Ama Ilary. Anche mia sorella: indosso sempre una sua collana durante lo spettacolo e me l’ha data lei come portafortuna. Mia mamma guarda sempre le storie e le commenta, volte mi dice che sono brutta e altre che sono bella. Sono fortunato. In paese hanno sparso la voce che fossi diventata trans: non sapevano effettivamente cosa stesse succedendo.
Hai avuto la percezione che anche a scuola ci fosse confusione tra transessualità e drag queen?
No, hanno solo chiesto se fossi pagato per gli spettacoli. «Certo!» Ho detto loro che è un lavoro. Una passione prima di tutto, ma è anche un lavoro, c’è un mercato. A livello economico, la drag sono anche un prodotto: forniamo un prodotto.
Quanto può esserci di politico nella performance di una drag?
È sempre soggettivo ed è frutto dell’immaginario del personaggio. Alcuni sono comici e alcuni concettuali. Io racconto prima avvenimenti che ho vissuto e lo faccio in chiave comica: famiglia, viaggi al mare… Poi mi ricollego all’attualità, ma comunque parlo di politica. Porto performance concettuali. Per me è fondamentale: con una parrucca e con dei tacchi, la politica ha visibilità.
Quanto e come pensi che le drag queen, se adeguatamente politicizzate, possano essere utili nell’abbattimento della mascolinità tossica e del patriarcato?
Secondo me, sì. Tu attiri l’attenzione e la gente si gira e ti guarda. Deve necessariamente farlo. Tu puoi portare messaggi che possono abbattere barriere, parli di te e puoi far capire che se ti trucchi e ti imparrucchi non necessariamente sei effemminato o solo passivo. Abbiamo lo stigma del solo passivo: subiamo una sorta di “passivofobia”*.
Le drag sono soggette a una doppia discriminazione?
Sì. La drag è anche discriminata dalla comunità gay.
A Bologna è mai successo?
No, solo lo stigma del passivo, soprattutto o solo a livello sessuale. Conosco qualcuno e, quando viene a sapere che sono una drag, mi dice: «Io sono passivo». E io rispondo sempre: «E io versatile, quindi?».
Ilary vuole dire qualcosa a Pillon?
Vuole ringraziarlo per la visibilità che le sta regalando. E vuole dirgli che in quanto adulto ha una responsabilità grandissima: insegnare l’educazione e come si sta al mondo. Il suo post posso paragonarlo a un commento dei ragazzini all’ultimo banco quando gridano «cicciona di merda»: è bullismo. Essendo una persona famosa ha aperto le danze per una serie di insulti: tossica, travestita, frocio di merda, puttana… Fortunatamente, in privato niente. Ho visitato alcuni dei profili di chi mi ha insultato e ho avuto pelle d’oca e nausea: immagini di Padre Pio, di Gesù… Ho postato questo su Instagram, un crocefisso con la mia faccia al posto di Cristo e un collage di tutti gli insulti. Le reazioni del mondo dell’attivismo sono state bellissime, con hashtag di solidarietà. Tanta solidarietà da colleghi di tutta Italia.
Parteciperai al drag bombing sul profilo di Pillon?
La mia immagine deve essere la prima. Alle nove posterò la foto che vi ho mostrato e un commento. In un mondo bianco e nero è bene che ci sia un po’ di colore e questo colore glielo diamo noi.
Farai qualcosa contro Pillon?
In tanti mi hanno invitato a procedere, ma per ora non lo farò.
*Nota alle lettrici e ai lettori: nel mondo omosessuale, per una questione culturale, vengono spesso riprodotti gli stessi schemi eteronormativi che contrappongono la dicotomia uomo-donna. Pertanto, per alcuni, la femminilizzazione è vista in maniera negativa, diventando così sinonimo di passività e inferiorità. Per chi volesse approfondire il nostro Vincenzo Morteo se ne è occupato nella rubrica “Il bugiardino”: Lo stigma del passivo.
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