Che cos’è Confessions of the Fox? Sembrerebbe un classico romanzo storico, ambientato nella Londra del XVIII secolo, e come tale ci regala tutte le soddisfazioni formali che è lecito attendersi da un’opera del genere: c’è un antico manoscritto, ritrovato nella biblioteca di un’università americana; un personaggio principale, Jack Sheppard, che è già celebre per essere stato il protagonista di A beggar’s opera e dell’Opera da tre soldi. C’è il gioco erudito delle note a piè di pagina, con cui l’editore fittizio del presunto manoscritto, tale Dr. Voth, entra in comunicazione diretta con il lettore, parafrasando i termini più antiquati – a pagina 10 il primo pezzo di bravura, con ben sei termini, uno più immaginifico dell’altro, tradotti in fila con un laconico «pussy». 

La ricostruzione che Rosenberg fa della Londra settecentesca, la Londra che tutti noi associamo di default alla nascita della modernità, del capitalismo industriale e soprattutto delle avventure coloniali e imperialiste, restituisce l’immagine di una megalopoli dalle molte anime. Pur sottoposta a un controllo poliziesco che comincia a farsi ferreo, ospita identità divergenti sotto il profilo etnico e sessuale. Nella Londra di Jack e della sua amante Bess si vive di notte, il sesso è un lavoro e il furto con scasso un’opzione di carriera valida, certo più allettante della schiavitù alla quale il giovane Jack si ritrova sottoposto fin dall’infanzia. 

Confessions of the Fox sembra giocare le sue carte migliori all’inizio, con l’idea di fare di Sheppard – artista dell’evasione e amante inarrestabile, due abilità che sembrano fondersi e alimentarsi a vicenda – una persona trans. In una scena dai contenuti quasi stilnovisti, la vita di Jack prende la piega che lo porterà più volte alla galera quando Bess, giovane donna che ha preferito il sex work a una vita in collegio, lo incrocia per la strada e lo apostrofa come «handsome boy». Sono le sue parole a suscitare in Jack l’aspettativa di una vita possibile, secondo una dinamica fra sguardo dell’Amante e definizione di sé in relazione a tale sguardo che si ritrova anche in altra letteratura/memorialistica a tema transmasculine e FtM, da Stone butch blues a Testo tossico. Oltre che a essere una costante nelle nostre vite di romanticoni trans, naturalmente.  

Inventare un personaggio trans e collocarlo in un’epoca in cui il transessualismo, inteso come categoria medico-diagnostica, non esisteva, è un’operazione meravigliosamente liberatoria. Non esistono percorsi, non esistono regole, non esistono locuzioni stereotipiche (la disforia, il corpo sbagliato) a fare da inciampo alla lingua, propiziando il fraintendimento. Sarà un caso, ma l’innocente gioia di Jack che si scopre e si apre per amore contrasta in maniera stridente con l’unico personaggio del libro a essere calato nella contemporaneità, quel Dr. Voth editore del manoscritto – anche lui trans FtM- che si pone in costante dialogo con il lettore, inondandolo nevroticamente di ricordi, recriminazioni, paure e note linguistiche. Il fermo, risoluto e quasi muto sapere-di-essere che governa le azioni di Jack ci appare una condizione esistenziale assai preferibile all’analitico, colto chiacchiericcio dell’editore – ed è Voth stesso ad ammettere che il manoscritto gli provoca una forma di «jealousy, nay, misery». 

Ma Confessions non si crogiola nelle belle idee: con un colpo di coda, anzi, con una serie di virate e impennate nella trama spezza l’illusione del verosimile, tracciando delle imprevedibili linee di contatto che dalla Londra moderna finiscono con l’influenzare profondamente la vita di Voth nella contemporaneità. Del finale, tuttavia, preferiamo tacere, nella speranza che al più presto una traduzione italiana lo renda disponibile al nostro pubblico.