QUANDO SI SGRETOLA L’IDEOLOGIA

La democrazia italiana è in crisi? C’è un rischio di involuzione autoritaria?

Per rispondere a queste domande, è sufficiente allargare lo sguardo al resto dell’Europa e agli Stati Uniti, per scoprire che nell’area occidentale è in corso un comune processo di sgretolamento democratico.

Innanzitutto, assistiamo alla crisi dei partiti tradizionali che esprimono un orientamento ideologico o quantomeno credono a una logica di posizionamento.

I partiti, nati come elemento di congiunzione tra la società e le istituzioni, hanno progressivamente perso questa funzione mediatrice, non tanto per l’avvento dei social media quanto per la loro rinuncia a esercitare questo ruolo. Si sono arroccati nelle istituzioni perdendo il contatto con la base del loro elettorato. Conseguentemente, è cambiato anche il parlamento, sempre più impermeabile alle spinte provenienti dal basso (quando ci sono) e sempre più blindato dai partiti stessi (c’è però spazio per le pressioni di lobby e consorterie).

La stessa ascesa del personale politico non dipende più da una formazione di militanza di base, ma è determinata da una scelta delle segreterie delle formazioni politiche, spesso ricorrendo a personalità esterne nel nome della società civile, che però, nella pratica, punta a scegliere figure in grado di portare voti e di agevolare flussi di consensi in determinati settori.

Il venir meno dei partiti si è associato a un fenomeno di deideologizzazione: non esistono più né destra, né sinistra, né centro; di conseguenza, negli ultimi due decenni abbiamo assistito a una crescita della volatilità elettorale. Il voto di appartenenza, che ha caratterizzato almeno il 50% del comportamento elettorale fino a metà degli anni Novanta, è andato scemando, favorendo l’ascesa di nuove formazioni con un forte travaso da un partito all’altro.

Questo ricambio, che ha portato alla nascita di nuovi partiti, è solo teoricamente una forma  di rigenerazione democratica. I nuovi partiti, sempre più deideologizzati, perdono la visione prospettica, proiettata nel tempo, del sistema Paese. Si vince con il qui e ora, ma le distorsioni strutturali non si possono curare con un solo provvedimento o con benefit settoriali in cui non si vede un quadro d’insieme. Per altro verso, la crisi della sinistra sta sia nella carenza di proposte concrete, sia nella fumosità dei suoi disegni complessivi.

Se l’ideologia non esiste più, attraverso quali idee-guida si muovono i nuovi partiti? Argomenti deboli urlati forte, in opposizione alle precedenti ideologie (liberali, di ispirazione cristiana, socialiste), contraddistinte da complessi sistemi di valori, pur in un non risolto bilico tra teoria e prassi, tra ideale e materiale.

Scrostando sempre di più l’apparato di pensiero, restano idee rozze quanto primitive: il nazionalismo, il suprematismo, la razza, il desiderio di potenza e di potere. Qualunque idea di composizione e di affrancamento richiede un’elaborazione superiore che non è data e non è gradita. Anche una minima idea di Europa, per questa corrente di pensiero, è troppo complessa.

I leader attuali non si ispirano a nessuno se non a sé stessi. Godranno di una posizione di comando fintanto che una crisi economica o uno scandalo possa dar fiato a un #outsider# che usando i loro stessi mezzi riesca a spazzarli via.

I nazionalismi che attraversano l’Europa e minano le democrazie non possono allearsi tra loro, ma nel loro coerente egoismo sono destinati a scontrarsi. Per inciso: le spese militari in Europa sono in costante aumento in tutti i Paesi, mentre Donald Trump ha rigettato il bando alla proliferazione nucleare firmato a suo tempo da Stati Uniti e Unione Sovietica.

Dobbiamo sperare che siano gli interessi aziendali, nella logica di mantenimento di un mercato globale, a salvarci dai nazionalismi?

A ben guardare, è stata la rinuncia al governo dell’economia – che ha rovesciato il rapporto di comando tra politica ed economia – a determinare questo sprofondo.  

pubblicato sul numero 40 della Falla – dicembre 2018