RIFLESSIONI SUL MESTIERE PIÙ BELLO DEL MONDO NELLA GIORNATA DELLA LIBERTÀ DI STAMPA

Poco m’importa la menzogna

ma detesto l’inesattezza

Samuel Butler,  Note-books

Giornata mondiale della libertà di stampa. Se potessi mangiare la mia libertà di stampa avrei fatto una rivoluzione culturale di partecipazione. In questo guazzabuglio di citazioni a caso c’è tutto il mondo del giornalismo, meno i soldi che mancano sempre. La libertà non si compra certamente, ma se è pagata bene è sicuramente più libera di altre libertà. 

I giornalisti, parliamo generalizzando come si conviene alla professione, sono pagati troppo poco e quindi non sono liberi. Alcuni giornalisti si fanno pagare, pochi anche molto, e quindi non sono affatto liberi. Insomma il classico cane che si morde la coda di paglia. Sono andato su Wikipedia per informarmi a riguardo della Giornata mondiale della libertà di stampa e ho scoperto che è stata istituita dalle Nazioni unite il 17 dicembre 1993, e che si decise per il 3 maggio. Il giorno fu scelto per ricordare il seminario dell’Unesco per promuovere l’indipendenza e il pluralismo della stampa africana,  Promoting an Independent and Pluralistic African Press, tenutosi dal 29 aprile al 3 maggio del 1991 a Windhoek (Namibia). In questo caso ho fatto copia/incolla dal sito onuitalia.it

La libertà di stampa è un diritto che rimanda direttamente all’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Parliamo di uno dei diritti più importanti e sacri dell’uomo, ovvero la libertà di espressione e informazione. Quindi anche Libero è sacro, non scordatevelo mai. Ma la libertà di stampa è anche un dovere per chi la esercita e in questo caso si va inevitabilmente nel tecnico: libertà di raccontare storie rispettando in primo luogo la verità sostanziale di un fatto. Prima anche della convinzione del santissimo capo redattore, libertà di scassare i coglioni prima di tutto ai propri colleghi e solo dopo a chi ti osteggia oppure si incaponisce a credere di più ai post su Facebook del fruttarolo piuttosto che a una testata registrata.

Perché, diciamocelo, la professione di giornalista è quella che tutti sono convinti di poter fare. E non solo perché alla fine progettare una casa o un ponte è una bella fatica, mentre a dare fiato alla bocca sono buoni tutti così come a buttare giù dieci righe quando ne sentiamo la voglia. Con buona pace del correttore automatico che non è ancora in grado di giudicare la consecutio temporum, figuriamoci la coerenza. Invece sulla verità ormai è aperta la gara a scovare le fake news. Lo fa persino Facebook, pensa te. Debunker dell’anima mia. Per farla breve è proprio come sostiene Butler (perché nulla dà più spessore a uno scritto della citazione di un morto), occorre essere rigorosi nel costruire la narrazione anche di una bugia. 

Quello che ucciderà la professione che amo sopra ogni cosa non saranno tanto i violenti. Che comunque ne ammazzano, di colleghi, un centinaio l’anno in tutto il mondo. Ma la sciatteria che perseguiamo ogni giorno con testardaggine invidiabile. Ed è giusto difendere la libertà di sbagliare fino alla morte. In fondo dove sta scritto che la libertà di parola è solo quella della parola giusta? Che poi, diomio, diffidate sempre dai difensori del bene e della verità. Ne sono piene le fosse comuni, di loro oppositori sia chiaro.

Quando si commemora o festeggia qualcosa, avviene sempre perché o si è perduta oppure perché si spera di ottenerla. Per quanto riguarda la libertà di stampa non sono in grado di decidere in quale casistica siamo.

Immagine in evidenza tratta dal sito https://www.cinquecosebelle.it