CALCIO, DONNE E LA SENTENZA USA CHE BOCCIA LA PARITÀ (PER ORA)

Da un lato c’è una squadra che come miglior piazzamento degli ultimi novant’anni può vantare il terzo posto ai Mondiali del 1930; dall’altro una che negli ultimi trent’anni è stata campionessa del mondo quattro volte, nel 1991, 1995, 2015 e 2019. 

La prima squadra, quella del terzo posto, ha ricevuto premi per circa 180 mila dollari a persona nel 2018, pur mancando la qualificazione ai Mondiali russi.

La seconda squadra ha vinto il Mondiale del 2019 e 23 persone si sono dovute spartire 147 mila dollari (6 mila e spicci) per la vittoria e si sono dovute accontentare di 52.200 dollari per la sola qualificazione. 

I dati sono giusti, non c’è nessun errore. Avete letto bene e la sensazione di fastidio che probabilmente state provando è quella che molte di noi provano ogni giorno quando abbiamo a che fare con la disparità salariale. In caso non ve ne fosse accort* e non aveste seguito le cronache sportive dell’ultimo anno è bene specificare: la prima squadra è composta da uomini, la seconda da donne. 

La nazionale femminile di calcio Usa –  nazionale femminile di calcio e non nazionale di calcio femminile  – si è vista negare da un giudice. R.Gary Klausner, il diritto alla parità salariale, almeno per quanto riguarda l’accesso ai premi: ricordiamo che le presenze in nazionale non vengono retribuite, ma per ogni partita sono previsti premi in denaro a seconda del risultato. La sentenza è stata emessa venerdì e accoglie le argomentazioni della Federazione respingendo le rivendicazione di Rapinoe e compagne che dal 2016 denunciano una disparità di trattamento sia per quanto riguarda la natura dei premi in denaro che per le condizioni di trasferta. 

La motivazione alla quale si è appellato il giudice, dando così ragione alla FederCalcio Usa è stata che nel 2019 le calciatrici hanno guadagnato di più dei loro colleghi uomini, sia a livello cumulativo che per singola partita. Spoiler: nell’anno preso in considerazione, il 2019, la nazionale femminile ha disputato e vinto un Mondiale; la nazionale maschile, invece, ha fallito la qualificazione alla Coppa America, il torneo continentale. Indovinate quale squadra ha disputato più match tra partite ufficiali e amichevoli? 

La battaglia delle donne del pallone a stelle e strisce – su tutte Megan Rapinoe, lesbica dichiarata e antitrumpiana convinta, Alex Morgan e Carli Lloyd – va avanti dal 2016, anno successivo al terzo titolo mondiale conquistato dalla squadra. Quattro anni fa, infatti, cinque calciatrici si erano appellate alla Equal Employment Opportunity Commission, l’agenzia federale che si occupa dell’applicazione delle leggi sui diritti civili e soprattutto contro le discriminazioni sul posto di lavoro sporgendo un reclamo. Dopo tre anni di stallo, a pochi mesi dal Mondiale, 28 giocatrici hanno deciso di spingersi oltre e denunciare la Federazione. Le accuse mosse contro la FederCalcio Usa sono sempre state le stesse, ovvero quello di tenere un comportamento discriminatorio pervasivo, non solo per i premi, ma anche per le condizioni dei campi da gioco e per gli alloggi durante le trasferte della nazionale. La difesa della FederCalcio si è basata mettendo sul tavolo le precedenti contrattazioni di categoria e, come già detto, sull’assunto che nel 2019 le donne della nazionale hanno guadagnato in premi più dei colleghi maschi. Non solo, nei documenti difensivi della FederCalcio ha fatto capolino anche l’idea che la superiorità degli uomini fosse «Scienza inconfutabile», specifica che ha fatto scattare Rapinoe e compagne che hanno accusato l’allora presidente Carlos Cordeiro di sfacciata misoginia. Cordeiro si è dimesso e l’intero tema legale della FederCalcio licenziato. 

Dopo mesi di negoziazioni, a febbraio, le giocatrici della nazionale femminile di calcio si erano dette disponibili a patteggiare per 67 milioni di dollari, cifra che secondo loro avrebbe compensato anni di disparità.

E poi è arrivato Klausner ed è stata una doccia fredda: non esiste nessuna disparità salariale. Ripetiamo, la decisione è stata presa tenendo conto dei compensi del 2019: un Mondiale vinto per le donne, nemmeno la qualificazione al torneo continentale per gli uomini. Klausner ha invece accolto l’istanza relativa alla disparità di trattamento per le trasferte, gli alloggi, i campi e gli staff, ma Molly Levinson, la portavoce delle calciatrici, ha assicurato che faranno appello. 

In un’intervista rilasciata a Repubblica Milena Bertolini, ct della nazionale italiana femminile di calcio, ha definito questa causa giusta: «La richiesta dalle ragazze americane è giustissima, in linea di principio generale e anche nel caso particolare. Quando si parla di parità salariale, tutti mettono davanti l’aspetto economico, cioè la capacità che ha un movimento di produrre utili. Ma i diritti sono diritti, al di là del potere mediatico ed economico di un team, di una federazione, di un campionato. E nel caso particolare, le donne americane hanno vinto di più e producono di più in termini economici rispetto ai colleghi uomini, quindi, se è valido il ragionamento precedente, è ancor più miope la visione che emerge da questa sentenza».

La prima partita è finita con una sconfitta per le calciatrici Usa, ma il torneo che porta ai diritti è ancora lungo e Rapinoe e compagne sono abituate alle rimonte e alle vittorie. Chissà che il prossimo trofeo da alzare al cielo non sia proprio quello della parità. Nello sport e nel lavoro in generale. 

Per saperne di più: https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/05/02/news/calcio_donne_intervista_bertolini_parita_salariale_nazionale_americana-255499417/

https://www.nytimes.com/2020/05/01/sports/soccer/uswnt-equal-pay.html

https://www.ilpost.it/2020/05/03/calciatrici-nazionale-statunitense-sentenza-giudice-federale/?fbclid=IwAR21HqXaV3CfvCvcX6qtjZ4KotAta83Lypyhk9pHGUxng9ZizZgXmmiOeo0

https://www.ilpost.it/2016/04/01/le-calciatrici-statunitensi-chiedono-di-essere-pagate-come-gli-uomini/

Foto: Jamie Smed, Cincinnati, Ohio, per Wikipedia