LA RIVOLUZIONE DURANTE LA CRISI

di Francesco Colombrita

Dopo la conferenza stampa del presidente del Consiglio Giuseppe Conte del 26 aprile, in cui si sono comunicate le misure legate alla fantomatica fase due, nell’opinione pubblica si è innescata un’accesa polemica. L’utilizzo da parte del governo dell’espressione “congiunti”, in merito all’allargamento dei contatti sociali possibili ha fatto saltare sulla sedia buona parte della comunità LGBT+ e non solo. Tant’è vero che la discriminazione derivante dall’utilizzo di quel parametro investe non solo le marginalità già abitualmente discriminate, ma anche buona parte di quelle persone più vicine all’eteronorma che comunque si vedevano sovradeterminate nella scelta degli affetti. Andando oltre al merito della questione specifica, che pure ha visto un (presunto?) passo indietro del governo a fronte della protesta scatenatasi, si rivela necessaria una valutazione strutturale. Ciò che stupisce della vicenda è che la comunità stessa si è divisa, adagiandosi su un ben tristemente noto meccanismo dialettico: «Sì, è vero, l’espressione è discriminante, però si parla di una misura temporanea e inoltre con la crisi in corso non ci si può soffermare su queste battaglie». Qui i salti sulla sedia diventano due.

La storia si ripete e l’eco di quella finta destra moderata che faceva opposizione durante il dibattito per la discussione di Pacs, Dico e infine ddl  Cirinnà si fa sempre più vicino. Non era infatti inusuale sentirsi dire proprio «Sì è vero, una discriminazione c’è ma non si può certo impegnare ora il parlamento con questo dibattito, vista la crisi del paese». Dove sarebbe dunque l’asticella? È fondamentale interrogarsi su quale sia la crisi per noi sufficiente a mettere a tacere il dibattito, perché a un’analisi attenta vien da dire che non ne esiste una. Problematizzare le scelte del governo e lottare perché quelle scelte siano le più giuste possibili per ogni persona non toglie nulla alla gestione della crisi  attuale. Se si arriva al punto da ritenere che le minoranze debbano anche solo momentaneamente tacere si è già nella fase in cui quel silenzio si fa troppo pesante.

Non stupisce che Conte salga nei sondaggi, che dopo l’abuso del ruolo istituzionale legato all’attacco delle opposizioni stia ancora più simpatico. Non stupisce soprattutto che nella stessa conferenza stampa del 26 l’opinione pubblica per la maggior parte sia rimasta silente di fronte a un presidente del Consiglio che dice chiaramente «Siamo pronti a chiudere il rubinetto [delle libertà] in ogni momento» mimandone pure il gesto in favore di telecamera. Non dovremmo ricordare a noi stesse e al mondo che la nostra libertà non viene emanata dalle mani lucenti di un premier, ma è sancita dalla Costituzione in cui crediamo? Che è quella stessa Costituzione, in nome del nostro diritto alla salute, che permette una limitazione della libertà temporanea per un bene più grande?

In una situazione come questa è fondamentale tenere presente che la libertà è facile da perdere e molto difficile da guadagnare. Bisogna tenere la barra dritta, l’attenzione al massimo, tenere in punta di fioretto il Governo, che certo si sta spendendo per il bene comune ma va pungolato affinché non debordi. Dopotutto, la strada dell’inferno è lastricata di buone intenzioni. Ciò non vuole certo dire che in nome dell’autodeterminazione ognuna di noi debba fare quel che vuole in una distorta visione da darwinisti sanitari. Il punto è un altro.

Io sono fiero di appartenere a una comunità che si è espressa con forza, pure spaccandosi, in un periodo come questo (probabilmente influenzando la forma della successiva circolare esplicativa). Una comunità che ha dato il segno di essere viva e fremente e variegata. Riflettiamo sui margini di azione della nostra protesta e della nostra rivolta, su ciò che siamo disposte ad accettare. Facciamolo nella consapevolezza che è necessario trovare una risposta che sia valida per noi e che determini il nostro agire nel mondo. Io la mia l’ho trovata, ed è che la rivoluzione non può che essere permanente.