di Marco Mondello e Thomas Casadei, del Centro di Ricerca Interdipartimentale su Discriminazioni e vulnerabilità di Modena

Il 15 dicembre 2011 l’Ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite pubblica il primo Rapporto sui diritti umani delle persone LGBTIQ+[1]. Il Rapporto ricostruisce il contesto globale delle discriminazioni e violenze – che costituiscono precise violazioni dei diritti umani – a cui milioni di persone vanno incontro in ragione della loro identità di genere o del loro orientamento sessuale.

Le raccomandazioni dell’Alto Commissariato includono specificamente l’abolizione di normative nazionali che criminalizzino condotte sessuali tra persone dello stesso sesso[2] e l’introduzione di disposizioni volte alla tutela delle persone LGBTIQ+ contro forme di discriminazione che hanno come motivo la loro identità[3]. Quest’ultimo è il più rilevante, nonché unico, esempio di atto delle Nazioni Unite avente a oggetto l’integrità fisica e psicologica delle persone LGBTIQ+, rivolto a tutti gli Stati membri.

Dopo queste misure si è assistito all’insediamento di un Osservatorio guidato da un esperto indipendente incaricato di formulare proposte relative alla tutela dei diritti umani delle persone LGBTIQ+[4]. Dall’attività dell’ONU si evince una difficoltà profonda nell’addivenire a un consenso internazionale per, di conseguenza, poter redigere un Trattato che abbia valore vincolante nei confronti di tutti gli Stati membri, invero potrebbe essere una delle prossime tappe in quel processo di specificazione dei diritti umani[5] che ha visto la nascita di Convenzioni fondamentali quali quella di New York del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, o – nel contesto europeo – quella di Istanbul del 2011 sull’eliminazione di ogni discriminazione nei confronti delle donne.

Se il contesto globale è certamente ancora lontano da un possibile consenso (a gennaio 2024 sono 63 gli stati che criminalizzano gli atti sessuali tra persone dello stesso sesso: tra questi otto prevedono espressamente la pena di morte e nove la reclusione a vita)[6] in tema di diritti delle persone LGBTIQ+, esaminare il contesto europeo mostra in modo netto e incontrovertibile quanto la normativa italiana in materia di protezione, e repressione dei crimini c.d. d’odio, sia ancora lontana dall’essere coerente con gli indirizzi dell’Unione Europea [7]. Si tratta di indirizzi che, è bene sottolinearlo, si sono limitati fino a ora a essere incorporati in strumenti che, seppure di estrema importanza, rimangono di soft law (da ultima la LGBTIQ Equality Strategy 2020‑2025)[8]. A livello di normativa interna va segnalato come dodici Stati membri – Belgio, Danimarca, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Portogallo, Romania e Svezia – presentino leggi tali per cui è considerato reato incitare all’odio, alla violenza o alla discriminazione in base all’orientamento sessuale.

Il dibattito sul tema, in Italia, è tornato in auge dopo la presentazione del D.D.L. Zan, approvato alla Camera dei deputati nel 2020 ma poi accantonato e non approvato dal Senato. La proposta avrebbe tentato di estendere l’attuale disciplina dell’art. 604 ter c.p.[9] – la quale istituisce fattispecie di reato e aggravanti specifiche per reati compiuti per motivi discriminatori basati sull’etnia o sulla religione – anche per quegli atti criminosi aventi per base moventi discriminatori fondati sull’identità di genere o sull’orientamento sessuale della vittima. Nonostante le numerose critiche suscitate, quel Disegno di legge avrebbe risposto a un’esigenza di protezione che, in assenza di una normativa specifica, trova solo un mero palliativo nelle eterogenee e volubili applicazioni giurisprudenziali. Siano queste in tema di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche (Cass., sez. V, 25 maggio 2021, n. 30545), o di applicazione dell’aggravante comune dei motivi abietti o futili ex art. 61 c.p., n. 1, le risultanze delle sentenze italiane in tema[11] continuano a mettere in grave evidenza la mancanza di uniformità, e quindi di certezza[12].

La parola spetta al legislatore – ossia alle rappresentanze istituzionali – che dovrà valutare se, ed eventualmente come, impiegare lo strumento penale, considerato normalmente come extrema ratio, per arginare un fenomeno, quello delle aggressioni causate dall’odio omotransfobico, che non accenna a diminuire e si pone come un serio e gravissimo ostacolo tra le persone LGBTIQ+ e il pieno ed effettivo godimento dei loro diritti.

Nel frattempo la mobilitazione della società civile e, in particolare, dei movimenti e delle organizzazioni che lottano per i diritti e contro ogni forma di discriminazione non può che continuare, e in questi processi è fondamentale che siano in prima linea anche le amministrazioni e le istituzioni, comprese quelle accademiche.

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[1] Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Discriminatory laws and practices and acts of violence against individuals based on their sexual orientation and gender identity, https://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/rapp_LGBT_HR_English.pdf

[2] Ivi, p. 25, lett. d): “Repeal laws used to criminalize individuals on grounds of homosexuality for engaging in consensual same-sex sexual conduct, and harmonize the age of consent for heterosexual and homosexual conduct; ensure that other criminal laws are not used to harass or detain people based on their sexuality or gender identity and expression, and abolish the death penalty for offences involving consensual sexual relations;”

[3] Ivi, p. 25, lett. e): “Enact comprehensive anti-discrimination legislation that includes discrimination on grounds of sexual orientation and gender identity among prohibited grounds and recognizes intersecting forms of discrimination; ensure that combating discrimination on grounds of sexual orientation and gender identity is included in the mandates of national human rights institutions;”

[4] Sito dell’Osservatorio: https://www.ohchr.org/en/special-procedures/ie-sexual-orientation-and-gender-identity

[5] Mutuando l’espressione adottata da Attilio Pisanò in I diritti umani come fenomeno cosmopolita: internazionalizzazione, regionalizzazione, specificazione, Giuffrè, 2011, e in precedenza da Norberto Bobbio: L’ètà dei diritti, Einaudi, 2001.

[6] https://database.ilga.org/en

[7] https://fra.europa.eu/sites/default/files/fra_uploads/1226-Factsheet-homophobia-hate-speech-crime_IT.pdf

[8] Il Report è consultabile in: https://commission.europa.eu/document/download/98551259-7873-4d91-940c-323e4cd7d390_en?filename=JUST_LGBTIQ%20Strategy_Progress%20Report_FINAL_WEB.pdf

[9] Introdotto dal d.lgs. 1° marzo 2018 n. 21, che ha essenzialmente trascritto l’art. 3 del D.L. 26 aprile 1993, n. 122 convertito con la L. 25 giugno 1993, n. 205, recante “Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa”: la c.d. Legge “Mancino”.

[10] Alcune tra le più rilevanti riguardano i profili della tassatività o determinatezza delle fattispecie oggetto del D.D.L. “Zan”, cfr. L. Stortoni, Qualche cosa dev’essermi sfuggita a proposito del DDL Zan, in Criminalia, 2021. https://discrimen.it/qualche-cosa-devessermi-sfuggita-a-proposito-del-ddl-zan/. Per una ricognizione delle diverse critiche e un loro vaglio si rimanda a Th. Casadei, Issues and controversies mapping in relation to the so called “Zan” Bill (and beyond), in “Soft power”, 2, 2021, pp. 295-309.

[11] Per una ricognizione puntuale del tema: P. Caroli, La giurisprudenza penale italiana di fronte alle discriminazioni delle persone LGBTQIA+. Una ricognizione sistematica del diritto vivente, in Diritto penale contemporaneo, 2023. https://www.sistemapenale.it/pdf_contenuti/1679597049_caroli-discriminazione-lgbt-riv-trim.pdf.[12] Per uno sguardo d’insieme sullo stato dell’arte del nostro ordinamento rispetto ai principali nodi giuridici che riguardano le persone LGBTQI+ si veda Diritto e persone lgbtqi+, a cura di P. Pellissero, A. Vercellone, Giappichelli, 2022. Il libro, come si spiega nella presentazione, “è destinato alle studentesse e agli studenti dei futuri corsi dedicati a questi argomenti nelle Università italiane e a chiunque voglia approfondire le questioni giuridiche che coinvolgono l’orientamento sessuale e l’identità di genere”.