«Entrambe queste donne poterono vivere della loro attività artistica perché furono abbastanza fortunate da nascere a Bologna, una città nota per gli atteggiamenti progressisti nei confronti delle donne».
No, i tempi di cui scrive Kathy Hessel nel capitolo di apertura di La storia dell’arte senza gli uomini non erano ancora i nostri, quelli della millantata città più progressista d’Italia, ma gli anni d’oro dell’arte italiana, il XV secolo, il Rinascimento.
E “queste donne” sono Caterina de’ Vigri (alias Santa Caterina da Bologna, 1413-1463) e Properzia de’ Rossi, 1490-1530). La prima fu, oltre che monaca, scrittrice e musicista; la seconda, scultrice nota per la condotta ribelle, lavorò alle formelle della facciata di San Petronio e fu inclusa dal Vasari nelle sue Vite.
Più di Firenze, Roma, Milano, Venezia, Urbino, Mantova, le città simbolo del Rinascimento italiano, era infatti a Bologna che le donne venivano incoraggiate a lavorare come professioniste dell’arte. Tra il Cinquecento e il Settecento sono attestate sessantotto artiste in città e tra queste le famose Lavinia Fontana ed Elisabetta Sirani. Del resto, è a Bologna che si laureò nel XIII secolo Bettisia Gozzadini, prima donna a essere poi titolare di un insegnamento universitario, sempre nell’ateneo felsineo. Le artiste bolognesi erano ingaggiate da diverse classi sociali, dal mercante, al nobile, al piccolo artigiano: una differenza sostanziale con le committenze fiorentine, napoletane o romane, appannaggio quasi esclusivo delle classi elevate. Furono anche tra le prime a firmare le proprie opere, motivo per cui ora possiamo conoscerle e celebrarle come meritano.
Illustrazione di Claudia Tarabella
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