LE S-FAMIGLIE, NUOVI ORIZZONTI DEL VIVERE SOCIALE

I corpi sono al centro del vivere sociale. Fin dalla nostra antichità, le interazioni tra gli individui, le leggi poste a norma dei comportamenti, le coercizioni sociali stesse, ruotano attorno ai corpi. A ben guardare c’è chi potrebbe affermare che la storia dell’umanità è anche quella del rapporto tra corpo e processi socio-culturali. 

Questa premessa, che ha le sue basi nella sociologia e nella filosofia di buona parte del ‘900, si rivela particolarmente necessaria quando si riflette sull’evoluzione delle battaglie della comunità LGBT+. 

Noi siamo partite proprio dai corpi, i nostri in primo luogo: la rivoluzione che ha scardinato il paradigma contro il quale è nato il movimento è stata quella della libertà sessuale, rivendicata a cominciare proprio dai bisogni e dai desideri del nostro corpo. Necessità considerate sconvenienti, quando non pericolose socialmente e quindi da reprimere con forza. Si trattava, all’origine, di affermare la propria esistenza, occupare uno spazio nel mondo e farlo rivendicando la necessità di differire dall’eteronormatività del vivere sociale. 

La liberazione dei corpi è dunque la radice del movimento LGBT+. In quest’ottica, e calandosi nella contemporaneità, risulta necessario interrogarsi anche su altre sfumature di quei bisogni che si vanno rivendicando. Che sia per vantaggio, per induzione, o altro, rimane vera l’antica massima della Politica di Aristotele: «L’uomo è un animale sociale». Oltre alla costruzione di una comunità legata alla necessità di soddisfare bisogni cosiddetti primari, le persone intessono relazioni per rispondere alla ricerca di rapporti che potremmo dire affettivi. Quali battaglie e per quali bisogni, dunque, si rivelano oggi necessarie?

Negli ultimi decenni il movimento ha percorso una strada che, da sporca e indecorosa quale era, ha finito per ricondursi all’interno dell’alveo di una normalizzazione sempre maggiore. Le battaglie politiche più dibattute (anche se non le uniche) sono state quelle relative al riconoscimento di legami esistenti, i matrimoni in particolare, culminate nell’esito, in parte umiliante, del Ddl Cirinnà.

In questi termini, la rivoluzione è andata a innestarsi in forme già note e socialmente accettate del vivere comune, con l’allargamento di quel nucleo a nuove soggettività. La famiglia però, soprattutto vista in questi termini, non è oggi uno strumento che riesca ad adattarsi davvero alle esigenze specifiche affettive e sessuali che si stanno affermando. 

Basti pensare al rapporto con la famiglia di origine, luogo in cui si consumano a volte orrori, in particolare per quelle persone LGBT+ che vengono spesso ripudiate per il proprio orientamento o identità di genere. La spinta che deriva da questa impossibilità di conforto nei rapporti di sangue non di rado porta alla ricerca di collettività che risultino essere più accoglienti, che ognuna di noi sceglie liberamente, autodeterminandosi in rapporti d’amicizia e d’amore non ritenuti – ancora – convenzionali o comunque non allo stesso livello della normalizzazione richiesta. 

È in parte il tema noto della famiglia d’elezione. Si penserà, come si è detto spesso, che in fin dei conti il problema non esiste, perché ognuna di noi è di fatto libera di abitarne forme più fluide senza ormai andare incontro a coercizioni particolari. Tuttavia sono bastate una conferenza stampa del Presidente del Consiglio e la successiva circolare esplicativa sul termine “congiunti”, per mostrare quanto sia fragile questa situazione. Mettendo da parte le questioni legate alla situazione d’emergenza, è risultato evidente come chi non rientri all’interno di forme sociali riconosciute e tradizionali (per quanto allargate) di famiglia subisca una eterodirezione, almeno negli intenti, nella classifica dei propri affetti, che non sono riconosciuti. Forse il problema è che pure la Costituzione mette in risalto la famiglia come nucleo fondamentale. 

Si riuscirà a scardinare quel paradigma quando al centro arriveranno i diritti dell’individuo, libero di autodeterminarsi nelle forme che riterrà più proprie. 

Pubblicato sul numero 56 della Falla, giugno 2020