(Francia, 2019, 74’, O.V. SOTT.)
Parigi 2019. Può un appartamento della capitale francese essere il centro da cui si dipana una commedia raffinata e mai troppo scontata che, con la leggerezza di chi vuole dipingere in toni tenui un piccolo universo LGBT+, si pone l’obiettivo di «ridere tanto, ma anche piangere tanto»? È quello che Cheng-Chui Kuo, giovane regista di origini taiwanesi, ha tentato di fare, partendo da una sceneggiatura teatrale scritta da lui stesso qualche anno fa. Il film, presentato in anteprima internazionale al Festival MIX di Milano lo scorso giugno, fa parte del fitto programma della 17° edizione del Gender Bender di Bologna, alla cui proiezione – questa sera alle 20:00 al Lumière – Kuo sarà presente.
In effetti il titolo originale della pièce teatrale è Une chambre à louer (Una stanza in affitto, n.d.t.), proprio a voler delineare un microcosmo, come lui lo ha definito, che possa fungere da specchio della nostra società. Tutto accade nello spazio chiuso di questo appartamento: la macchina da presa, salvo qualche piccola eccezione, non oltrepassa mai la porta di casa, e segue, quasi rincorre i sei personaggi. Sembra quasi che li voglia guardare da vicino e chiedere loro di raccontarsi, scavare sotto la superficie delle loro vite apparentemente normali e tirare fuori ogni loro disagio. Ma ciò non avviene, mettendo così lo spettatore di fronte a una ricercata operazione di disincanto dove non può fare altro che chiedersi il perché ci costringiamo a chiuderci in noi stessi rinunciando al dialogo con l’altro da noi. Questa impossibilità di smascherarsi – probabilmente un retaggio autobiografico dell’autore, il quale ha affermato di aver dovuto mettere da parte in gioventù la sua passione per lo spettacolo, considerato dalla famiglia un sinonimo di chômage (disoccupazione, n.d.t.), e partecipare così solo di nascosto al cineclub dell’università – rivela l’idea di fondo di questa commedia e, cioè che il nostro continuo tentativo di costruirci delle armature di menzogne non fa altro che mettere a nudo la nostra solitudine.
A questo ballo sentimentale del XXI secolo partecipa Clément, il proprietario dell’appartamento, trentenne nel pieno della sua crisi professionale (è un regista e sceneggiatore che non è ancora riuscito a produrre il suo capolavoro) e sentimentale, dopo essere stato mollato da David, il quale ha preferito seguire la sua carriera a Nantese, lasciando la sua stanza vuota. L’altra inquilina è Alex. Anche lei come tutti gli altri, vuole nascondere, dietro un’apparenza di spigliatezza, tanta insicurezza e poca autostima. Insieme si butteranno nella ricerca del coinquilino perfetto, ovvero colui che possa sostituire David in tutto e per tutto e far dimenticare al povero Clément i dolori di una recente (e mai definitiva) rottura. L’unica prerogativa sarà dunque quella di essere gay, o più probabilmente, a un livello più profondo, quella di riempire un vuoto. Ed ecco che arriva lo studente di musica, Leo, disposto a celare la sua eterosessualità pur di ottenere la camera. Ed è qui che si impianta il classico topos dell’equivoco che coinvolgerà un po’ tutti, da Clément e Leo, ad Alex e Maeva, amica di Leo che tutti credono lesbica, fino ad Anne, sorella di Clément, donna etero e single, che vuole tanto trovare in questo spazio un modo per non affrontare le sue inquietudini. Per sciogliere la matassa, basterà, paradossalmente, mettersi a un tavolino e giocare a Obbligo o Verità, iniziare a parlarsi per veder crollare le proprie paure e riacquisire un po’ di fiducia in sé stessi.
Una commedia, dunque, che con i suoi 74 minuti di delicatezza, vuole offrire allo spettatore un piccolo stimolo a riflettere sull’importanza di ascoltare se stessi per capire l’altro.
Certo, al pubblico bolognese, questo film potrà provocare qualche sorriso sornione, nel ricordare i famosi casting e le difficoltà da affrontare per trovare un letto in affitto in città, ma questa è tutta un’altra storia.
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