Come demonizzare una parola dal significato rivoluzionario
«Non uscirò da questa città/ se non con tutte le mie amiche» (Wright). Questa è la risposta che riceve Noè da sua moglie quando con insistenza la invita a salire sull’arca con i suoi figli, e tutti gli animali, per trovare la salvezza dal diluvio universale. La moglie però, presa a spettegolare (to gossip) con le sue amiche nella taverna, non ne vorrà sapere di partire né tantomeno di salvarsi senza le sue care compagne. Non sono certo le Sacre Scritture a raccontarci questa versione suggestiva della storia, ma un dramma biblico compreso nel ciclo di Chester. Stiamo parlando dei cosiddetti mistery plays, tra il XIV e XV secolo, primissime forme di rappresentazione drammatica nella storia letteraria inglese. Oltre ai drammi biblici, nello stesso periodo si parla di gossip anche in diversi canti popolari in riferimento al linguaggio frivolo e inopportuno con cui le donne nelle taverne e nelle locande si scagliavano rabbiose contro i mariti o seminavano discordia tra gli ospiti.
Perché partire proprio da qui per ricostruire la storia della parola gossip? Perché è all’inizio del XV secolo, periodo di transizione in cui si collocano all’incirca queste rappresentazioni, che si assiste al cambiamento di segno nell’uso del termine: a una prima accezione neutra se ne sommerà ben presto una dispregiativa. A questo mutamento semantico ne corrisponde uno sociale che si associa non solo al progressivo scoraggiamento del ruolo delle donne e della loro voce nello spazio pubblico, ma che si inserisce anche nella comprensione di quel complesso fenomeno storico che è stato la caccia alle streghe.
Il termine gossip deriva da due parole, God e Sib (“affine”), che nel Medioevo indicavano inizialmente il padrino e la madrina (god-parent), e in seguito la persona che, oltre alla levatrice, assisteva la madre durante il parto.
Nel corso del Medioevo il verbo to gossip – la cui traduzione italiana “spettegolare” conserva in sé un’accezione completamente diversa, assolutamente moderna e negativa – sottoscriveva una relazione di intesa e di solidarietà tra donne in un contesto sociale ed economico dove le forme di comunità e cooperazione femminile costituivano ancora un punto di forza strutturale. Con la nascente affermazione della monarchia nazionale inglese, e quindi dello stato moderno, la struttura gerarchica cosmologica e divina vigente si proiettava sul sovrano nel suo rapporto con lo stato e la società. Parliamo di sovrani al maschile volutamente, essendo più complesso e particolareggiato il rapporto tra stato e società al tempo della regina Elisabetta I.
Come Dio era il capo dell’universo e della comunità umana, così il re doveva esserlo della società. Queste relazioni di supremazia si replicavano a loro volta nel nucleo familiare etero-patriarcale circa i rapporti uomo-donna. Per questo le forme di solidarietà femminile, nel contesto produttivo, garantendo alle donne una maggiore indipendenza economica dagli uomini, minacciavano alla base la stessa gerarchia statale e universale.
Da qui nacque la necessità di sanzionare, con dei rituali punitivi umilianti, tutte le manifestazioni di inversione dell’ordine gerarchico. Il linguaggio delle donne divenne così il bersaglio dell’aggressione essendo stato il primo terreno di espressione della disobbedienza. Si cominciò allora a parlare di gossip per indicare la futile chiacchiera femminile o la protesta verbale di coloro che avevano mantenuto vive le loro vecchie reti di relazioni per opporsi al processo di «femminilizzazione della povertà» (Marianne Hester) caratteristico del XV-XVI secolo.
Il passo è breve da qui ai processi contro le scolds, donne bisbetiche e scocciatrici, che molto presto sarebbero state identificate come streghe proprio a causa dell’uso di un linguaggio non autorizzato al genere femminile farcito di maledizioni e blasfemie.
Le società inglesi della prima età moderna erano letteralmente ossessionate dall’immagine della moglie intenta a picchiare il marito o a sgridarlo a gran voce. I rituali collettivi di correzione dovevano essere perciò brutalmente spettacolari. Si pensi al gossip bridle, la briglia delle comari, pensata per lacerare la lingua di coloro che osavano scagliarsi verbalmente contro il proprio marito. Questa specie di copricapo in ferro veniva indossato dalle scolds, poi costrette a esibirsi per le strade della città e a subire gli insulti della cittadinanza intera. Nel 1542 un proclama reale invitava inoltre le donne a non incontrarsi tra di loro, con il chiaro obiettivo di sommergere le forme di amicizia e di rete femminile.
Il gossip si trasformò quindi in malalingua nel momento in cui la conversazione tra amiche o il vituperio (come reazione a uno stato di marginalizzazione e oppressione costante) aveva cominciato a smascherare le ingiustizie e le contraddizioni di un rigido sistema patriarcale che relegava le donne (specie se anziane, vedove e povere) all’ultimo grado della catena dell’essere.
Se guardiamo alla sua accezione odierna, anglicismo entrato ormai nell’uso italiano, il gossip è associato al linguaggio giornalistico scandalistico o alla cronaca rosa. Permane ancora quindi il segno negativo del termine, inteso come chiacchiera frivola volta all’intrattenimento o alla diffamazione. Il dizionario Treccani però ci dice che di gossip possiamo parlare anche in riferimento a un tipo di informazione che non passa per i canali maggiori o ufficiali. E forse è proprio questo il modo in cui possiamo leggere oggi questa parola dalla storia così strana. Il gossip come pratica discorsiva dove la chiacchiera tra donne, che come ben sappiamo erano escluse dal mondo dell’istruzione e dalla cultura alta, veniva riconosciuta come unico prezioso canale di comunicazione e condivisione in grado di accogliere le loro voci scomode di critica sociale.
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