New York, 1969, 27 giugno. È un venerdì sera estivo come tanti al Greenwich Village. I gruppetti di amiche e amici si incontrano in giro per andare allo Stonewall Inn, un baraccio gestito dalla mafia dove servono alcolici annacquati. Perché mai frequentano quelle due stanze buie? È uno dei pochi bar gay della città, dove sono liberi di socializzare, ballare le canzoni che escono dal juke box, essere se stessi. L’omosessualità è illegale ovunque negli Stati Uniti, tranne che in Illinois. Anche a New York è un reato, ma New York in questo momento è lo zenith dell’occidente, tutto passa di qui, e se arrivi dalla provincia, anche se sei un gay o una lesbica, le probabilità di sparire nella folla e di potersi creare degli interstizi di libertà aumentano.
La polizia ogni tanto fa delle incursioni, arresta qualcuno e chiude il bar, ma tutto si risolve senza grossi traumi e lo Stonewall Inn riapre poche ore dopo. Certo, questo screma la clientela alla base. Non ci sono i placidi attivisti delle associazioni omofile che dal 1965 fanno timidi picchettaggi vestiti da uomini e donne standard per cercare di sottolineare la normalità delle persone omosessuali. Frequentano lo Stonewall Inn soprattutto persone che non hanno nulla da perdere a livello sociale: proletari, giovani studenti, e gente così profondamente non allineata al sistema binario dei generi – travestite, drag queen, butch col seno fasciato – che preferirebbe le fiamme dell’inferno al non esprimersi qui e ora, ed è perciò venuta a patti col suo essere drop out.
Sono le prime ore di sabato 28 giugno, la notte è ancora giovane, quando la polizia fa irruzione, per l’ennesima volta. Ma gli eventi, inaspettatamente, non seguono il solito copione. I clienti si ribellano. Tra di essi lo studente Martin Boyce, l’ex suora Virginia Apuzzo, la transessuale Sylvia Rivera. Cominciano a lanciare ai poliziotti monetine, poi bottiglie, fanno resistenza all’arresto, e la polizia perde il controllo della situazione. Davanti al locale si riunisce una folla che si ingrossa a vista d’occhio, costringendo le forze dell’ordine a barricarsi dentro. Arrivano altri poliziotti in tenuta antisommossa, con caschi e manganelli. La rivolta che scoppia stanotte non si spegnerà prima di sei giorni. La prima volta nella storia in cui i devianti, i tipi strani, gli invertiti, non si piegano alla violenza di stato. È la nascita del movimento LGBT occidentale.
L’anno dopo, nel 1970, si tiene per le strade di Manhattan la prima Christopher Street March, per celebrare gli avvenimenti del 1969. Le attiviste e gli attivisti sono terrorizzati: per la prima volta dovranno sfilare alla luce del sole per quello che sono, lesbiche, gay, travestite. E ci sarà pure una sperimentazione globale in corso grazie ai movimenti per i diritti civili dei neri, delle donne, a quelli studenteschi contro la guerra in Vietnam, ma l’omosessualità è ancora reato, e compare nel manuale diagnostico delle malattie mentali. La manifestazione è un successo inaspettato: alcune centinaia di persone partono da Christopher Street, e poi diventano migliaia, perché man mano che prosegue si uniscono i sostenitori della libertà sessuale. L’arrivo in Central Park è una festa collettiva, l’euforia è nell’aria. È la nascita del Pride come giornata dell’orgoglio di sé in quanto persona LGBT+, di chi si è, di chi si scopa, di chi si ama, che in pochi anni si diffonde a macchia d’olio in tutto il mondo.
Cambio di scena.
I militanti sono consapevoli di partecipare ad un evento storico: la nascita del movimento LGBT italiano.
Dopo questo sdoganamento, nel corso degli anni si susseguono altre manifestazioni che diventano storiche: dal corteo di Pisa del 1979 a tutta l’esperienza bolognese che culmina con l’assegnazione del Cassero di Porta Sagagozza nel 1982. Per il primo Pride nazionale, però, bisognerà aspettare fino al 2 luglio 1994, quando a Roma tutte le forze del movimento LGBT+, insieme, vincono la scommessa della visibilità.
In questi ultimi vent’anni il movimento LGBT+, pur nella sua litigiosità, che per certi versi rispecchia le dinamiche divisive della sinistra italiana, è riuscito a cambiare la percezione sociale dell’omosessualità, migliorando così la qualità della vita delle persone LGBT+. Anche se la strada è ancora lunga.
Sabato 27 giugno Bologna vivrà il suo settimo Pride LGBT+. Facciamoci trovare favolose: cuciamo i lustrini (o le borchie), spazzoliamo parrucche, lucidiamo dildi, mangiamo insalate con l’obiettivo “magra per il Pride”, o quel che ci pare per sentirci al nostro meglio. Mentre ci prepariamo ad essere tutte regine per un giorno, e al rito catartico e dionisiaco che è questa manifestazione, ricordiamoci due cose: che tutto comincia con l’orgoglio, e che Stonewall è stata una rivolta, non l’esibizione di una famiglia Mulino Bianco LGBT+.
pubblicato sul numero 6 della Falla – giugno 2015
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