San Domino è un fazzoletto di terra buttato nel mare Adriatico davanti a Foggia: poco meno di dieci chilometri di costa dall’aria salubre e dal suolo fertile. San Nicola, sua gemella, è la più estesa delle isole Tremiti e la più popolata. Con l’unificazione del Regno d’Italia, tutto l’arcipelago venne adibito a prigione di Stato: i carcerati della zona sono detenuti comuni e piccoli malviventi costretti al lavoro coatto ma, deflagrata la Prima Guerra Mondiale, questa porzione di Puglia diventa il luogo perfetto in cui spedire i prigionieri politici; durante il ventennio fascista, poi, finire al confino equivale a ricevere una pena esemplare, dedicata solo ai più indisciplinati e agli incorreggibili – come il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ad esempio.

I casermoni di San Domino

A questa categoria di delinquenti, se ne aggiunge presto un’altra: gli omosessuali. A loro, che in realtà criminali non erano nemmeno per le leggi fascistissime, fu dedicata San Domino: un campo di prigionia dalle pareti d’acqua. Nessun articolo del Codice Rocco (corpus di diritto penale che prende il nome dal suo principale estensore, il guardasigilli del Governo Mussolini Alfredo Rocco), però, vietava l’omosessualità perché, nell’Italia del Duce, gli omosessuali non esistevano e, se esistevano, «pederasti» e «invertiti» erano come mele marce, sparute ma dannose per l’equilibrio e la credibilità della nazione. 

«La negazione – sostiene Luca De Santis – toglieva corpo e presenza a una realtà che c’era, spaventava e si voleva appunto cancellare: inserire una legge contro l’omosessualità di fatto ne avrebbe legittimato l’esistenza».

La targa in memoria

Duecento omosessuali provenienti da tutta Italia furono condotti in catene e costretti al soggiorno sull’isola. Persino un antifascista come Mario Magri – internato a San Nicola –- definì poco dignitosamente San Domino come una «colonia di signorine: poveri diavoli, tra i quali anche dei buoni artigiani e dei professori, [che] vivevano in modo orribile». Dalle poche notizie arrivate fino ai giorni nostri, sappiamo che i detenuti vivevano stipati in due grandi cameroni senza luce, acqua corrente e servizi igienici nei quali, scoccate le venti, venivano chiusi a chiave dalle guardie che trascorrevano la notte nell’altra isola. Si occupavano della pulizia degli stabili, della spesa, di procurarsi acqua pulita e svolgere piccole mansioni come cucire o risuolare le scarpe dei carabinieri custodi. Una situazione di segregazione non certo da villaggio vacanze, come fa presente Sara Colaone nella  nostra intervista all’artista. Alcuni residenti non del tutto ostili ai deportati ne approfittavano per togliersi lo sfizio di vivere fugaci rapporti sessuali con i detenuti che si vendono per marchetta. Una realtà che non durò molto: graziati dal governo nel maggio 1940, il campo viene destinato ai dissidenti politici e agli ebrei e liberato dagli americani nell’autunno del 1943.

Gli uomini di San Domino poterono tornare a casa: per molti il soggiorno forzato fu motivo di umiliazione, ma alcuni sottolinearono come, durante il confino, siano stati liberi di essere se stessi. Il regime li aveva costretti a vivere nella clandestinità, in balìa delle spie che li segnalavano come inosservanti del TULPS (Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) e, quindi, passibili di diffide e ammonizioni giudiziali, mentre alle Tremiti «Cercavamo di vivere bene, come si poteva. […] Facevamo pure teatro e lì potevamo vestirci da donna senza che nessuno dicesse niente.», ricorda Giuseppe B. di Salerno, deportato per “delitti contro la razza”.

La storia del reclusorio di San Domino è caduta nel dimenticatoio e solo di recente sull’isola è stata posta una targa in memoria di chi, come sostiene ancora De Santis, «non ha mai ricevuto riscatto da tanto dolore». Nel graphic novel In Italia sono tutti maschi di De Santis e Colaone (Oblomov Edizioni) si racconta l’intreccio delle vicende di Antonio e Rocco, ispirate alle vicissitudini di Giovanni Dall’Orto, ex confinato omosessuale alle isole Tremiti. Un lavoro di ricostruzione e sintesi difficoltoso, data la poca bibliografia e i testimoni diretti scomparsi o reticenti a rivangare i ricordi, che non si è concluso con la prima edizione del fumetto: a distanza di 10 anni un’appendice ripercorre le tappe del libro. Sara Colaone sottolinea come le riflessioni con gli storici e gli incontri con i lettori e le lettrici siano confluiti in un diario dai disegni differenti rispetto alla prima parte: colorati ed esplosivi, perché raccontano un nuovo universo di emozioni.

Per approfondire:

Il fascismo degli italiani. Una storia sociale (Utet) di P. Dogliani

In Italia sono tutti maschi (Oblomov Edizioni) di L. De Santis – S. Colaone

La città e l’isola. Omosessuali al confino nell’Italia fascista (Donzelli) di G. Goretti – T. Giartosio

L’isola dei femminielli (Focus Storia) di A. Pescini 

L’isola dei papaveri (Area51) di P. Pedote 

Immagine 1 da amaraterramia.it

Immagine 2 digayproject.it

Immagine 3 da oblomovedizioni.com

Immagine in evidenza da estense.com dal graphic novel In Italia sono tutti maschi di De Santis e Colaone