«[…] Io sono la Iotti reggina de ‘sto Quirinale – che meraviglia».
Grazie all’apparente nonsense della canzone Scusa ti tocchi? della trasmissione satirica Avanzi, datata 1992, alla me stessa adolescente venne presentata per la prima volta la possibilità, almeno teorica, che anche una donna potesse diventare presidente della Repubblica. Sono passati 30 anni esatti e in Italia nessuna donna ha ancora mai ricoperto questa carica, né è mai stata presidente del Consiglio. Nella prima votazione di lunedì, quella che tradizionalmente contiene le goliardate da scuola media dei parlamentari, non hanno usato il nome di una donna nemmeno come boutade, tra i vari Amadeus, Alberto Angela e Bruno Vespa puntualmente nominati.
La Falla ha raccolto voci dai corridoi del potere che già da qualche settimana davano per certo un passaggio a un regime vicepresidenziale de facto, con un trasloco di Mario Draghi da Palazzo Chigi al Quirinale. E piazzando una persona di sua fiducia nel ruolo di premier, cioè uno dei suoi ministri: Daniele Franco (Economia e finanze) o Marta Cartabia (Giustizia).
Coi fiumi di parole donnisti sulla necessità di #unadonna, una qualsiasi, basta che abbia le gonadi interne, negli ultimi giorni è parso evidente che Franco non abbia speranze, anche in un quadro che veda Draghi eletto presidente. Il nome del giorno è un altro: Elisabetta Belloni, altra donna di Draghi, che lui stesso ha piazzato a capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, organo che dipende dalla presidenza del Consiglio e che ha il compito di vigilare sulle attività dei servizi segreti.
Io sono pronta a scommettere su un esito che veda Draghi presidente e Belloni – o al massimo Cartabia – premier, o se proprio proprio ci dovesse essere un cambiamento, il contrario. Ma dai non detti, da quello che intuiamo da politici e media, sembra evidente che Draghi desideri la presidenza della Repubblica, perché è la sua ultima corsa. Fra 7 anni sarebbe molto anziano, e poi l’opinione pubblica ha notoriamente la memoria di un pesce rosso, quindi fra 7 anni chissà se si ricorderà ancora del ruolo draghiano attuale e della stima internazionale di cui gode in quanto ex presidente della Banca centrale europea e di garante per gli scapestrati italiani, nel mondo del capitalismo finanziario che decide i nostri destini.
Cartabia e Belloni sono entrambe donne con l’alto profilo istituzionale e la conoscenza dei meccanismi dello Stato necessarie per fare efficacemente la presidente della Repubblica italiana.
Il mondo femminista più innovativo e capace di leggere la contemporaneità (che l* attivist* si definiscano femminist* di quarta ondata, femminist* intersezionali o transfemminist* poco importa ai fini della nostra analisi) non approva, e hanno iniziato a circolare gag e meme su questa volontà di eleggere #unadonna, purché sia. Lo storytelling dei politici si presta, d’altronde, alla burla: in molti hanno dichiarato, nei mesi scorsi, che avrebbero desiderato «Tizio, Caio, Sempronio – facendo nomi e cognomi – o “una donna”».
La circostanza dell’elezione presidenziale porta a interrogarsi su un tema purtroppo ormai classico della partecipazione politica: come mai la sinistra italiana non è mai riuscita a esprimere una figura di donna libera dal ruolo subalterno, in rapporti di protettorato instaurati con degli uomini. E come mai, nel sistema repubblicano ma indubbiamente liberista in cui viviamo, sono anzi le destre che esprimono leadership femminili forti.
Anche senza pretendere che tutt* assumano posizioni radicali come quella secondo cui le istituzioni – frutto del patriarcato capitalista – strutturalmente non potranno mai rappresentare le donne e le minoranze oppresse, vero è che in Italia anche le politiche di sinistra di maggior valore erano, diciamo, femmine del capo, considerando la loro storia dal punto di vista della selezione della classe dirigente. Se solo sbirciamo nella storia del Pci, Nilde Iotti aveva iniziato a fare politica da sola, arrivando a far parte dell’Assemblea Costituente. Era però l’amante di Palmiro Togliatti, il quale, peraltro, fece eleggere anche la moglie ufficiale, Rita Montagnana, nella Costituente. Teresa Noce, una delle 21 donne della Costituente, era la moglie di Luigi Longo, segretario del Pci che successe a Togliatti alla sua morte nel 1964.
Se non sono state legate sentimentalmente a politici maschi, sono state quasi tutte sponsorizzate da capi corrente, per cui nonostante qualche guizzo femminista, in ultima istanza è a lui che hanno sempre dovuto rispondere, per non perdere la carriera politica e i benefit di denaro e potere che porta con sé. Ne vediamo un esempio con le cosiddette donne di Renzi: Teresa Bellanova, Elena Boschi, Marianna Madia le più note, così legate a doppio filo al capo da non avere ora alcuna autorevolezza individuale.
La più talentuosa tra le donne emergenti nella sinistra, senza padri putativi, è Elly Schlein, ma ha solo 36 anni e come vice presidente dell’Emilia Romagna ha ancora un lungo cursus honorum davanti a sé.
Invece, sembra che ci sia una certa facilità per la destra di assumere in sé il valore “nuovo” delle donne in politica, emersa da Irene Pivetti – eletta presidente della Camera in quota Lega a soli 31 anni nel 1994 – in poi. Giorgia Meloni è la politica più carismatica e l’unica leader di partito, un partito che sotto il suo comando ha raggiunto lo status di primo in Italia. Ma non sono gli unici esempi: da Margaret Thatcher, passando per Angela Merkel e Christine Lagarde, le donne conservatrici hanno avuto molto potere negli ultimi 40 anni, riuscendo a inserirsi in un sistema dove, ben lungi dal portare qualsiasi tipo di differenza femminea intrinseca, tanto caro allo storytelling delle essenzialiste, sono state a tutti gli effetti one of the boys.
La donna di sinistra ha molta più difficoltà a mostrare di abitare il potere esattamente come un uomo, perché per essere considerata una donna di sinistra standard deve come minimo essere favorevole all’aborto, al matrimonio ugualitario e a una serie di questioni che inevitabilmente la porteranno ad avere un’immagine pubblica molto più divisiva e meno universalmente accettabile.
Queste elezioni presidenziali ci porteranno forse una donna in una delle cariche più importanti previste dall’ordinamento della nostra Repubblica. Ma avrà qualche rilevanza, alla luce del più grande assembramento di potere mai visto in epoca repubblicana che ci condurrà con tutta probabilità a un regime semipresidenziale che farà carta straccia del dettato costituzionale? Noi crediamo di no.
Immagine in evidenza da openpolis.it, nel testo da affaritaliani.it e da open.online
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