ISTANTANEA DEL POETRY SLAM IN ITALIA, TRA INNOVAZIONE E RITORNO ALL’ORALITÀ

Avere quasi quarant’anni e non sentirli: è il Poetry Slam, competizione e pratica performativa che unisce poesia e interpretazione a voce alta dei propri versi, nata negli Stati Uniti, a Chicago, intorno alla metà degli anni ’80. 

Lasciamo perdere i reading, le letture ingessate, le presentazioni di libri, le formule divulgative che crediamo di conoscere e a cui, da poetə o appassionatə, abbiamo partecipato. Lo slam non assomiglia a nulla di tutto questo. 

Club, bar, sale da ballo, spazi informali spesso legati alla musica dal vivo, luoghi pubblici popolari, maleducati, impuri: lo slam nasce qui e si riversa in pochissimo tempo su tutto il territorio statunitense e poi in Europa, fino ad arrivare, nei primi anni duemila, anche nella nostra periferia, l’Italia.

Una competizione dunque, che si avvale di regole codificate e di poetə che gareggiano a colpi di versi per un tempo limitato (non più di cinque minuti), senza l’ausilio di strumenti o riproduttori musicali, preferibilmente esibendosi in un’interpretazione a cappella e giudicatə da sconosciutə sceltə a caso tra il pubblico, in un clima molto più vicino al live piuttosto che all’atmosfera reverente dal sapore mistico-religioso che caratterizza la maggior parte dei reading a cui avete assistito.

L’Italia deve ringraziare il poeta Lello Voce, che organizza il primo slam ufficiale all’interno del Festival Romapoesia nel marzo del 2001, mentre per arrivare alla Lips, la Lega Italiana Poetry Slam, dobbiamo aspettare fino al 2013.

So far, so good, potremmo dire. E invece no, perché lo slam è coinvolto da un’ascesa esponenziale ma allo stesso tempo inversamente proporzionale: più successo riscuote – e ne riscuote tanto – più infastidisce. 

«Antipoesia», «poesia facile», «poesia di bassa lega», «gara di poesia», «sedicente poesia»: basta fare una veloce ricerca online e i giudizi negativi, più o meno competenti, si sprecano, così come le repliche lato slammer contro l’accademia, organismo non ben codificato ma evocato continuamente, un sistema di controllo qualità informale inafferrabile, composto da riviste, agganci universitari, personalità della critica letteraria, poetə affermatə e non, lettori e lettrici. 

Quantə, questə ultimə? Un numero risibile, a dire la verità, dato che viviamo in un Paese che non legge, e legge e pubblica ancora meno poesia. 

Le grandi case editrici fanno poca ricerca, così le novità poetiche siamo costrettə a spulciarle faticosamente tra le proposte di edizioni indipendenti che cercano di portare a casa pubblicazioni di sicuro scarso rilievo, non per colpa della qualità (non solo, perlomeno), ma per via di un mercato condizionato dalle poche vendite, dove una raccolta poetica è considerata un successone se vende un migliaio di copie. 

Dovremmo abbracciare con gioia e gratitudine una pratica poetica che punta sull’oralità e che non solo avvicina un pubblico altrimenti disinteressato all’asfittico mondo poetico italiano, ma che dà anche la possibilità a poetə in erba di confrontarsi con altrə, far conoscere la propria opera e agganciare il numero significativo di appassionatə che affollano le competizioni a colpi di centinaia di presenze.

L’irriverenza performativa, non a caso da moltə accostata al rap, la possibilità di un riconoscimento con chi performa, la prepotenza di versi anche scorbutici, o semplici, forse non sempre raffinati ma potenti, intrattiene, diverte, stimola. Nessuna torre d’avorio, ma piedi ben piantati per terra, nudi, e la sola voce a fare la differenza.

È di due mesi fa l’exploit della poeta Amanda Gorman all’insediamento della presidenza degli Stati Uniti, una lettura che ha fatto il giro del mondo e ci ha catapultatə, per quanto inconsapevolmente, all’interno di questo stesso dibattito, una poesia che lavora sulla performance orale e si sgancia, almeno momentaneamente, dalla pagina scritta per piombare diritta nelle nostre orecchie e che si fa viva, reale, quotidiana, con l’ambizione di influire su chi ascolta, di cambiare la sua esistenza con la forza dell’autenticità e il favore della comprensibilità.

Ma come si è confrontato il mondo del Poetry Slam con la riduzione, anzi, la sparizione dell’abitabilità dello spazio pubblico dovuta alla pandemia?

L’abbiamo chiesto a Eugenia Galli, una delle fondatrici di Zoopalco, realtà bolognese attiva dal 2016 di stanza al Das (Dispositivo Arti Sperimentali), che oltre a organizzare slam produce spettacoli autonomi che intrecciano arte, poesia orale e multimedialità. 

«Il nostro pezzo forte erano gli eventi dal vivo», spiega Eugenia, «la creazione di una comunità, ma stavamo già lavorando sul digitale quando pandemia e distanziamento fisico ci hanno sorpresə. Quando scriviamo opere artistiche e multimediali di poesia ragioniamo sulla destinazione, sul medium, quindi non ci siamo limitatə a trasportare sul web il nostro lavoro, ma abbiamo scritto cose nuove pensate appositamente per il mezzo». È il caso del progetto PoetyQwerty, in cui «i PoetyQwerty hanno avuto circa un mese di tempo per produrre da zero un testo poetico su un foglio elettronico, consentendo allo staff del Collettivo Zoopalco di tenere traccia di ogni modifica operata nella stesura, dal foglio bianco alla “forma compiuta” […] Queste tracce e revisioni sono state tutte raccolte da un software che ne ha conservato i metadati, i quali oggi rendono possibile un testo interattivo online da leggere attraverso un cursore. Spostando questo cursore col dito, è possibile esplorare la poesia in tutte le fasi del processo compositivo, perlustrandone i refusi, i tentativi, le evoluzioni, le indecisioni, i bivi, le possibilità…».

Durante il lockdown della primavera 2020, i social si sono riempiti di reading casalinghi e riprese sbilenche in cui poetə professionistə si sono cimentatə con mezzi che evidentemente non erano sempre in grado di comprendere e gestire, ma Zoopalco ci sposta completamente su un altro piano: gli eventi pensati live, come gli spettacoli previsti all’interno del Mercato Sonato, sono stati reimmaginati per essere fruiti attraverso le dirette Facebook.

Chiedo a Eugenia come si confrontano con la mitologica accademia che sembra non apprezzare gli slam, la video-poesia, la performance orale, né tantomeno tutto il successo che riscuotono. 

«All’interno del collettivo di Zoopalco ci sono tre filologi, non temiamo di scendere su questo piano di discussione», con buona pace delle polemiche sull’ingenuità della poesia performativa, «noi collaboriamo abitualmente con tante realtà che si occupano di poesia, crediamo nell’orizzontalità. A Bologna facciamo rete con eventi come il festival Bologna in Lettere, ma anche con associazioni e progetti sociali legati alle marginalità. Il nostro lavoro ha una vocazione strettamente politica e sociale».

Vocazione evidente fin dalla prima lettura del sito in cui da qualche tempo possiamo goderci l’uso della schwa, annunciato e rivendicato con una comunicazione a inizio anno.

«Oltre all’importanza della sua diffusione nel nostro linguaggio comune, sto lavorando per portarla anche nei miei reading», racconta Eugenia e personalmente non vedo l’ora di ascoltare il risultato del suo lavoro.

I linguaggi si evolvono, questo vale per la poesia e per i mezzi con cui si rinnova, e vale per la lingua che usiamo tutti i giorni, nonostante le forze conservatrici, per ignoranza o per spinta reazionaria consapevole, siano impegnate a resistervi.

Se per alcunə le nuove forme poetiche e comunicative sono uno scempio, per altrə sono esattamente ciò che aspettavano. 

Di certo non possiamo misurare il successo e l’impatto del Poetry Slam, di tutta la poesia multimediale, video e performativa, basandoci esclusivamente sui numeri che genera. 

Tuttavia lo possiamo fare accogliendo la qualità della sperimentazione sul linguaggio, l’accessibilità della fruizione e il valore del riconoscimento che concorrono a formare sia un nuovo pubblico per la poesia contemporanea italiana, sia nuove generazioni consapevoli del potere rivoluzionario della parola poetica.

Immagine in evidenza da laltroveappuntidipoesia.com, immagine del testo da zoopalco.org