I POCHI COMING OUT E I TANTI OUTING DEL MONDO DELLO SPORT. SOPRATTUTTO NEL CALCIO
Il 19 febbraio, in particolar modo nei paesi latini, si celebra la Giornata Internazionale contro l’omofobia nel calcio (e nello sport) e, sebbene sia stata proposta e celebrata per la prima volta nel 2010, qui in Italia non è conosciuta.
Andiamo per ordine: perché proprio il 19 febbraio? Perché il 19 febbraio del 1961, nel quartiere di Hackney a Londra, nasceva il giocatore che ancora oggi ha pagato lo scotto più alto nel mondo dello sport: Justin Fashanu.
Della sua storia ne abbiamo già parlato qui, ma vale la pena ricordarla in breve: astro nascente del calcio inglese, Fashanu si scontra con il padre-padrone Brian Clough, allenatore, che arriverà a cacciarlo dal campo scortato dalla polizia. Le voci sulla sua omosessualità si rincorrono fino al 1991, quando Fashanu decide di fare coming out. La situazione precipita ulteriormente e, dopo un’accusa di molestie sessuali nel maggio del 1998, Fashanu si impicca.
Da allora le cose sono cambiate? Sì e no, dipende dal punto di vista e da cosa vogliamo osservare.
Partiamo dallo sport in generale che, al contrario del calcio, ha conosciuto sì coming out precedenti a quello di Fashanu, ma non per questo sempre meno traumatici.
Era il primo maggio del 1981 quando, a Los Angeles, in una conferenza stampa gremita di giornalisti, la campionessa indiscussa di tennis Billie Jean King, ammetteva di aver avuto una relazione con la sua assistente personale Marylin Barnett. Quest’ultima, dopo un incidente avvenuto nella casa di Malibu di King, aveva deciso di portarla in tribunale per chiederle danni e alimenti.
Quel primo maggio del 1981, quindi, Billie Jean King decise di andare contro il consiglio dei suoi avvocati, convocò la stampa e di fronte a una platea incredula ammise che sì, lei e Marylin Barnett avevano avuto una relazione durata anni, ma finita da molto tempo.
In appena venti minuti di conferenza stampa Billie Jean King entrò nuovamente nella storia: era la prima atleta professionista a dichiararsi apertamente omosessuale in pubblico nella storia dello sport femminile.
Neanche due mesi dopo, a luglio, il secondo coming out della storia dello sport femminile – in verità più simile a un outing – arrivò ancora una volta dal mondo del tennis.
La protagonista, suo malgrado, fu la tennista Martina Navratilova. Di origini ceche, aveva appena ottenuto la naturalizzazione come cittadina statunitense quando decise di rilasciare un’intervista sulla sua vita privata al giornalista Steve Goldstein, del New York Daily News. Al giornalista Navratilova aveva raccontato di aver avuto una relazione con Rita Mae Brown e di essere bisessuale, ma aveva posto come condizione la pubblicazione dell’intervista quando lei stessa si sarebbe sentita pronta a uscire allo scoperto. Non fu così e l’intervista uscì sulle pagine del quotidiano il 30 luglio del 1981, mettendo in subbuglio il mondo del tennis, la stampa scandalistica e ovviamente Navratilova stessa che, insieme alla sua compagna dell’epoca, si vide costretta a rilasciare una nuova intervista facendo definitivamente coming out.
Nei successivi 39 anni la lista delle atlete ormai out of the closet, dichiarate, si è allargata: Abby Wambach, per esempio, che è la più titolata delle calciatrici Usa e una delle più famose, come Megan Rapinoe. Dichiarate anche le cestiste Diana Taurasi ed Elena Delle Donne in Wba. E come loro, all’estero, molte altre in ogni tipo di sport, di squadra e individuale.
E in Italia? L’Italia, come al solito fa storia a sé e nella lunga lista di atlete e atleti apertamente Lgbt nel mondo se ne contano sette. Otto, includendo l’unico atleta italiano apertamente gay, il body builder professionista Ruggero Freddi.
La prima è sicuramente Maria Grazia – detta Lella, manco a farlo apposta – Lombardi, pilota piemontese di Formula uno, morta nel 1992: al momento della morte lasciò una compagna.
Lella Lombardi, pioniera in pista e nella vita.
E poi?
Nicole Bonanimo, portiera della nazionale di hockey su strada, è la prima in assoluto a fare coming out: è il febbraio del 2014, ma dopo aver girato un po’ sulla stampa mainstream la notizia si perde e si smette di parlarne.
Poi il nulla. Per anni. Per un’eternità. Ma con tanti, troppi episodi di discriminazione avvenuti nel mentre.
La clausola del contratto di Manù Benelli, quando da giocatrice decise di lasciare il campo di pallavolo per l’allenamento, che prevedeva l’allontanamento immediato dalla società in caso di comportamenti inappropriati con le giocatrici, clausola che, a tutt’oggi, difficilmente vedremo applicare al contratto di un allenatore di una squadra femminile.
La ormai tristemente famosa frase di Felice Belolli, presidente della Lega Dilettantistica nel 2015: «Basta non si può sempre parlare di dare soldi a queste quattro lesbiche…», in riferimento ai settori femminili.
Dagli articoli di chi, durante i Mondiali femminili di calcio del 2019, ridacchiava dalle colonne dei giornali affermando che le calciatrici tanto sono tutte lesbiche, perpetrando il più classico degli stereotipi, quello che vuole una donna amante del pallone lesbica. Senza dimenticarci che l’outing è una pratica odiosa.
Per non parlare di tutto il sommerso. Degli episodi che non sono mai stati raccontati. Degli insulti dagli spalti. Delle discriminazioni in spogliatoio.
Poi un po’ di luce. Di speranza.
Prima a Rio de Janeiro, durante l’Olimpiade più arcobaleno di sempre, con la spontanea e dolcissima dedica della fondista di nuoto Rachele Bruni all’allora compagna Diletta.
Paola Egonu, poi, che dai suoi nemmeno vent’anni raccontò a Candida Morvillo di aver chiamato la sua compagna subito dopo la finale persa ai Mondiali di pallavolo del 2018.
Elena Linari, calciatrice ora in forza alla Roma ma al tempo all’Atletico Madrid, con il suo coming out post Mondiali che in un’intervista a Dribbling raccontò: «In Spagna non ho problemi, mentre in Italia temo la reazione delle persone», sottolineando come l’Italia non fosse ancora pronta.
Ultimo in ordine cronologico il coming out di Carolina Morace, appena qualche settimana fa.
Sette donne e un uomo dichiarato in Italia, e le donne provengono quasi tutte dal mondo del calcio.
Già, il mondo del calcio maschile, quello stesso mondo che spinse Fashanu a togliersi la vita, a che punto è? Al punto zero, ancora nel 2021 e i calciatori dichiarati si contano sulla punta delle dita, letteralmente: sono otto, spesso di serie minori o a fine carriera, a testimoniare di come l’omosessualità sia a tutt’oggi un gigantesco tabù.
L’Italia è ancora quel Paese dei Sarri che danno del «finocchio» a Mancini, dei Cassano che «Ci sono froci in nazionale? Se dico quello che penso sai che cosa viene fuori… Sono froci, problemi loro, speriamo che non ci siano veramente in nazionale», dei «Berti puttana Serena ti ama», dei Boniperti soprannominati “Marisa” per via dei boccoli biondi.
Non avete mai sentito parlare della Giornata Internazionale contro l’omofobia nel calcio in Italia, dite? Tornate a inizio articolo a leggetelo da capo.
Immagine in evidenza da beyondsport.org
Immagine 1 da bbc.com
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