Della scala Kinsey e del perché siamo universalmente (un po’) bisessual*
Se avete frequentato gruppi Facebook o forum a tematica LGBT+ è molto probabile che vi siate imbattuti in questo quesito: «Come ti collochi sulla scala Kinsey?». Se non vi fosse mai accaduto, o se anche capitandovi non vi siate mai posti il problema di capire di cosa si stesse parlando, ecco una traduzione sommaria: «Quanto sei frocia da zero a sei?». Certo, la tentazione di rispondere «Sono favolosah» è tanta, lo sappiamo, così come sostenere che non c’è bisogno di dare un voto al proprio orientamento sessuale.
Dietro ai numeri e a opinabili quiz da strapazzo su internet, però, c’è una storia che ha rivoluzionato il modo di pensare alla sessualità e all’orientamento sessuale. A cavallo tra il 1948 e il 1953, il biologo e sessuologo statunitense Alfred Kinsey ebbe un’intuizione: la sessualità non può essere incasellata in due categorie fisse e a tenuta stagna. Per quello che poi sarà definito il «padre della rivoluzione sessuale» più che di eterosessualità e omosessualità sarebbe stato corretto parlare di sessualità fluida, non necessariamente scolpita nel marmo nell’arco della vita di una persona. Per dimostrare la sua teoria sulla gradualità della sessualità, e per poter rappresentare al meglio i risultati delle ottomila interviste effettuate, nacque la Scala Kinsey, chiamata anche Heterosexual-Homosexual Rating Scale, un sistema di classificazione dell’orientamento sessuale che va da un gradino zero, «esclusivamente eterosessuale», a un sesto, «esclusivamente omosessuale». Nel mezzo, una generalizzazione – non esaustiva nemmeno per lo stesso Kinsey – delle tante sfumature della sessualità umana.
I rapporti Kinsey – composti da Il comportamento sessuale dell’uomo del 1948 e da Il comportamento sessuale della donna, del 1953 – furono una rivoluzione sotto diversi punti di vista. Non solo per la prima volta veniva introdotta l’idea di fluidità della sessualità umana, ma si presentava anche un nuovo metodo di indagine scientifica basata sulle risposte e sui comportamenti degli individui in un dato momento della loro vita, che andasse al di là delle etichette socialmente e culturalmente riconosciute all’epoca (fondate sulla dicotomia etero-omo, appunto). Per Kinsey, la fluidità della sessualità non stava solamente nella possibilità di provare diversi gradi di attrazione nei confronti di un uomo, di una donna o di entrambi, ma anche nella possibilità che tale attrazione potesse mutare nel tempo. Ancora oggi, settant’anni dopo la pubblicazione della prima formulazione della Scala – alla quale è stato aggiunto un grado x per poter includere una qualche forma di asessualità – è considerata uno dei maggiori studi legati alla sessualità umana, sottoposta ancora a debunking, indagini e statistiche.
La prossima volta che qualcuno vi chiederà «Come ti collochi sulla Scala Kinsey», rispondete senza timore e ricordatevi una cosa: alla Scala non importa con quante persone siete stati a letto. Perché dovrebbe importare a voi?
Pubblicato sul numero 47 della Falla, luglio/agosto/settembre 2019
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