GEMELLI INCESTUOSI, STREGHE LESBICHE E MONACI DEPRAVATI NELL’ULTIMO FILM DI BRUCE LABRUCE
Regista, attore, scrittore, fotografo, artista, Bruce LaBruce si autodefinisce un «pornografo riluttante» ed è tuttora una delle figure più eclettiche e interessanti del cinema queer contemporaneo. «Almeno una volta nella vita, un regista dovrebbe fare un film sui seguenti soggetti: i gemelli o il sosia, l’incesto, una capanna nel bosco, monache e/o monaci, un motociclista, lesbiche che vivono allo stato brado e un sacerdote che commette un abuso sessuale. Saint-Narcisse mi ha permesso di combinare tutti questi elementi in un solo film». Queste le note di regia che hanno accompagnato il suo ultimo lungometraggio alle Giornate degli Autori di Venezia, primo dei tanti festival cinematografici internazionali, tra cui il Mix Milano, dove è stato proiettato.
Ambientato in Canada nel 1972, il protagonista è il ventiduenne Dominic. Niente lo eccita più della sua stessa immagine da cui è ossessionato: trascorre infatti gran parte del tempo scattandosi, con una Polaroid, quelli che potremmo definire dei selfie ante litteram. Dopo la morte della nonna, viene a conoscenza di alcuni segreti legati alla sua famiglia: la madre Beatrice, che credeva morta di parto, in realtà è viva e ora abita in una casa nel bosco, insieme a un’altra donna più giovane. Nel paese poco distante, chiamato Saint Narcisse, si dice sia una strega e che la sua amante non invecchi mai. Dominic scoprirà inoltre di avere un fratello gemello, Daniel, seminarista in un remoto monastero e vittima degli abusi sessuali del monaco depravato che lo ha cresciuto.
Dopo la necrofilia porno horror del dittico Otto; or Up with Dead People (2008) e L.A. Zombie (2010) e l’amore tra un ottantunenne e un diciottenne di Gerontophilia (2013), LaBruce mette in scena un altro grande tabù: l’incesto, in particolare il twincest, sottogenere del cinema porno gay. Lo fa unendo il mito greco di Narciso – attualissimo in tempi di solipsistico autocompiacimento social – con l’iconografia cristiana, soprattutto la figura del martire San Sebastiano, assurto col tempo a culto gay, già al centro, nel 1976, del capolavoro Sebastiane di Derek Jarman.
Sia chiaro, le provocazioni di LaBruce non sono mai fini a sé stesse, né uno sterile e gratuito épater le bourgeois, bensì figlie di un preciso sguardo politico sulla società, che affonda le proprie radici nel queercore, movimento culturale, artistico e sociale, da lui stesso fondato a metà degli anni ‘80 come ramificazione del punk, in risposta all’omofobia e all’omosessualità repressa presenti in quell’ambiente. Con il consueto stile dissacrante, iconoclasta e libero rispetto a moralismi e falsi perbenismi, sbeffeggia causticamente l’ipocrisia della chiesa cattolica, pronta ad additare pubblicamente due amanti lesbiche, condannandole alla riprovazione sociale e all’(auto)esilio, mentre nel segreto delle mura di un monastero si consumano sevizie e abusi sessuali, tra droghe dello stupro, croci di Sant’Andrea e deliri mistici.
Alla retorica religiosa e conservatrice sulla cosiddetta famiglia tradizionale LaBruce contrappone l’immagine di un nucleo familiare incestuoso: quando i due gemelli si incontrano non oppongono resistenza all’attrazione reciproca, concretizzando la fantasia narcisistica di fare l’amore con sé stessi. Successivamente Daniel si chiede se ciò che hanno fatto è sbagliato quanto le molestie subite nel monastero, ma Dominic lo rassicura dicendo che «è diverso, noi siamo una famiglia». It’s a Family Affair, come sottolinea sarcasticamente nel finale il celebre brano cantato nel 1971 da Sly and The Family Stone.
Proprio come i suoi protagonisti, sessualmente fluidi e anarchici, Saint-Narcisse sfugge a catalogazioni e definizioni prestabilite, travalicando i generi: al suo interno confluiscono infatti il mélo famigliare, costellato di agnizioni e ricongiungimenti, la dark comedy intrisa di (auto)ironia – in un tale contesto narrativo l’insulto «go fuck yourself» assume un significato letterale -, elementi mistery horror, il film di vendetta e, ovviamente, il softcore.
Sentito omaggio al cinema canadese degli anni ‘70 (la fotografia di Michel LaVeaux ne riproduce stilemi e atmosfere tramite luci, colori e zoom d’epoca), Saint-Narcisse risulta estremamente godibile, nonostante sia tutt’altro che perfetto: in alcune parti perde ritmo ma lo stile camp di certe sequenze, come quelle che vedono protagonisti monaci e seminaristi dai fisici scultorei, sempre pronti a togliersi il saio, divertirà molto lə fan dei B Movie.
Nello stesso anno in cui coppie gay e lesbiche sono diventate protagoniste assolute del genere cinematografico più conformista, normativo e commerciale in assoluto, ovvero le rom-com natalizie, è confortante sapere che il cinema di LaBruce è ancora orgogliosamente anticonvenzionale, scandaloso, fuori norma, queer. Come ha scritto il critico Pier Maria Bocchi, «ne sarebbe andato fiero Mario Mieli».
Piccola chicca per cinefilə: i nomi dei protagonisti sono un omaggio a Dominique e Danielle, le gemelle interpretate da Margot Kidder in Le due sorelle (in originale Sisters), horror di Brian De Palma del 1972.
Immagini in evidenza e nel testo da giornatedegliautori.com
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