Crescere in provincia significa capire presto che le parole sono importanti, e soprattutto che le parole degli altri sono più importanti delle tue. La difficoltà di trovare una definizione calzante per me valeva tanto per le persone che avevo accanto quanto per me stessa, in anni in cui l’ADHD e il genere non erano nemmeno lontanamente concepibili nei termini attuali, mentre l’abitudine a giudicarsi a vicenda sulla base di una presunta normalità ideale ci impediva di trovare parole personali e positive.
Per recuperare dal passato remoto un momento significativo: una sera del liceo durante una cena con le amiche scegliamo per ognuna di noi una principessa Disney. Le altre se la cavano piuttosto bene tra Megara e Belle, ma quando viene il mio turno nemmeno Mulan e Merida rappresentano con chiarezza chi è Martina. Poi il colpo di genio: Hercules, prima dell’allenamento con Filottete. Sì, quello che sembra un ragazzo trans al suo 3° mese di ormoni. Ringraziando la Disney che ha inconsapevolmente rappresentato anche chi non aveva nemmeno un patentino di esistenza, esco da quella serata un po’ orgogliosa, un po’ divertita, molto confusa. Perché la mia principessa è Hercules? E soprattutto, perché questa cosa non mi dispiace?

Più volte mi è capitato di essere “quella che si veste strana” perché era per me piacevolissimo abbinare tubino nero e giacca da rugbista grigia. Ho sempre preferito segnalare, con gli abiti o il comportamento, che non ero come le altre ragazze, per assicurarmi che le altre persone non mi scambiassero per qualcosa che non ero: le altre ragazze erano belle, femminili, accoglienti, io no. Io ero un’altra cosa. E sapendo che quella cosa altra poteva essere un problema per qualcunə, preferivo allontanare chi non mi avrebbe accettatə.
In più occasioni quando il mio approccio alle questioni non era affatto femminile, l’espressione che veniva più facile per definirmi era «un maschio mancato». Non mi sono mai sentita un maschio mancato, ma ecco, nemmeno una femmina. Per moltissimo tempo mi sarei definita semplicemente un esemplare di Martina. Ma no, non funziona così in periferia. In periferia chi sei lo decidono gli altri, di certo non tu. E in realtà nemmeno le persone concrete che hai intorno, che come te si muovono sui binari su cui sono poste.
La differenza non è assente in provincia, e non è vero che non viene nominata. La differenza esisteva chiara come il Sole anche 15 anni fa, nel momento in cui abbiamo assegnato le principesse alla mia compagnia di amiche, e l’abbiamo nominata eccome. La questione è solo sul come nominarla. Non era previsto che chi incarnasse quella differenza avesse anche una voce per rivendicare un’etichetta nuova, che lə facesse sentire giustə com’era.
Quando torno ora, più di dieci anni e tantissime esperienze dopo, mi sembra di trovare un ambiente un po’ cambiato, dove respirare più serenamente. Non sono sicurə di poter dire se è l’ambiente a essere diverso, non ci vivo davvero abbastanza a lungo. Forse è solo che una volta trovata la propria voce è più facile rivendicare il diritto di usarla.
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