Educazione sentimentale sotto il sole della Romagna

di Mattia Macchiavelli

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Ai bordi del mare, disegnata da polvere e strutto, esiste una rotonda antica come il tempo. Vi regna un edicolante che vende informazioni, pettegolezzi, passatempi e sogni. Tutto intorno i negozi di sempre, ogni anno diversi ma identici nell’usura della salsedine: il fornaio pigro, un bar che si sforza di accettare la sfida della contemporaneità, il ristorante pretenzioso e una manciata di hotel dai nomi improbabili, stipati in piccole vie dai nomi altrettanto improbabili. Vicino a Nadia, la parrucchiera che conosce i segreti del sole, proprio all’angolo, una gelateria remota quanto la rotonda, “Brrrivido dolce”, con tre “r”. Ogni gusto ha lo stesso sapore, quello del puffo. Al Brrrivido dolce si consumano gli arcaici rituali dell’amore: si entra guardinghi nelle orbite dei ragazzi, si inscena la ruota del pavone, si dissoda il terreno per giochi d’occhi che, sapientemente, debbono essere concessi e negati. S’indovinano anche i gusti dei ragazzi, al Brrrivido dolce, chiedendosi se sappiano tutti di puffo. Si azzarda. Un azzardo fatto di sabbia e sudore, capace di dischiudere lo scrigno delle passioni sepolte o di costringere al rinculo delle frustrazioni. È questo il brivido.

C’è la pineta per consumarsi i corpi, esibendo le antiche arti in una gara sublime, per stabilire chi è più provinciale di chi nel gioco del piacere. È poco lontana, si arriva a piedi, percorrendo quelle vie dai nomi improbabili: più la strada è piccola, più viene chiamata come una grande metropoli, “Stoccolma”, “Londra”, “Washington”. La pineta è vicina, deve esserlo perché le voglie non aspettano, perché in quelle terre ancora non è arrivato un principio di realtà capace di dilazionare la libido. Ci vai anche se non sai come si fa: sarà la resina dei pini marittimi a suggerirti le parole, i gesti. Ci vai anche se non sai dove metterti perché un grembo buio, nel terreno dissestato, lo si trova sempre. Lo sa chi è cresciuto in quella pineta ai bordi del mare, così come sa che un telo da spiaggia deve sempre esserci nello zaino, pronto per le alcove improvvise e totali. Gli amori veloci e insondabili sono sempre fortunati, perché quello è un lido altruista: se il telo te lo sei scordato, lo avrà lui, lo avranno loro. All’ombra delle cabine – Alice ce lo ha insegnato – si respirano i segreti bisbigliati; dentro alle cabine, insabbiati, ci si confessa e ci si assolve con tocchi fugaci. La pineta continua fin dentro al campeggio, così come vi arriva la sabbia: entrambe con le loro memorie e con i loro peccati. Non c’è scampo alle profferte amorose giunte dalle tende canadesi, è una regola vecchia come il mondo; devi accettare nonostante la scomodità, con solenne vocazione contorsionistica. Devi accettare per il senso antico dell’ospitalità greca: se sono 25 anni che abiti quel campeggio, che ne sondi i perimetri e gli umori, ne sei una sorta di senatore, hai degli obblighi, dei voti primordiali che non puoi infrangere. E così dai un morso alla piada della Mamy – un’istituzione per chi fa pellegrinaggio nei pressi di Cesenatico – mentre giochi a briscola con le vecchine che ti hanno visto crescere; l’asso di bastoni, però, lo riservi per gli sconosciuti di cui continuerai a non sapere il nome. Non sono necessari i convenevoli in quel campeggio: sappiamo già tutto nel segreto che ci avvolge, non c’è bisogno d’altro che della clandestinità. Quando l’estate finisce, quando cambiano i codici, rimane solo Zadina e la consapevolezza che sarà lì, l’anno prossimo, ad aspettarti, immobile, dimenticata, generosa.

pubblicato sul numero 38 della Falla – ottobre 2018

immagine realizzata da Mara Santinello del collettivo artistico Gli infanti