Lucy Salani non c’è più. Nella notte è arrivata la notizia sulla pagina Fb di Porpora Marcasciano: «Lucy Salani ci ha lasciate. Simbolo incarnato dell’oppressione e della liberazione. Parte importante di una storia del paese, dei tempi, della comunità. Se ora ci sentiamo più sole/i è perché la sua forza ci incoraggiava e ora, lo dobbiamo a lei, la sua storia ci rafforzerà. Grazie grande Lucy, buon viaggio».

Sopravvissuta al campo di sterminio di Dachau, ha dedicato tutta l’ultima parte della sua lunga vita a testimoniare l’orrore dell’internamento nazista ed è stata un’attivista per i diritti delle persone trans*. Nata il 12 agosto del 1924, antifascista, Lucy venne internata come prigioniera politica per diserzione; un triangolo rosso, dunque, e non rosa, all’epoca non aveva ancora cominciato il suo percorso di transizione. 

Poco più di un anno fa raccontavamo la sua storia di straordinario coraggio e resistenza in occasione dell’uscita del documentario C’è un soffio di vita soltanto, di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, con il titolo tratto da una sua poesia.

Una storia resa pubblica innanzitutto dal lavoro della regista e scrittrice Gabriella Romano con il libro Il mio nome è Lucy. L’Italia del XX secolo nei ricordi di una transessuale (Donzelli, 2009) e il documentario Essere Lucy (2011) e, in seguito, da Gianni Amelio, che la intervistò per Felice chi è diverso (2014). Nel luglio del 2022, Lucy Salani ha ricevuto dalle mani della vicesindaca Emily Clancy la Turrita di bronzo della città di Bologna.

Lucy era amatissima da tutto il movimento LGBTQ+ bolognese e il suo legame con il Cassero ci onorava: era una gioia vederla ogni volta agli appuntamenti importanti della nostra comunità accompagnata dalle amicizie più care. 

Di C’è un soffio di vita soltanto disse: «Dopo ogni sessione di ripresa del film capivo che il racconto della mia storia poteva essere d’aiuto non solo a me stessa. Non è per presunzione, ma penso che il racconto della mia vita possa regalare una speranza a tutti coloro che si trovano a lottare per la propria identità e la propria dignità personale, e che possa essere un modello per molti». Sempre presente negli eventi cittadini in ricordo delle vittime nazifasciste nel tentativo di farci comprendere l’incomprensibile e le memorie terribili che a tutt’oggi la tenevano sveglia di notte, la sua voce e le sue parole forti e lucide ci mancheranno ancora di più adesso, mentre gli echi fascisti di un passato non così lontano prendono di nuovo corpo.

Quello che lascia è raro tanto quanto ciò che porta con sé in questo ultimo viaggio, il valore della sua vita, un soffio inestimabile.

«Sono qui», mormorava a Dachau, in un frame del documentario.

Sarai sempre qui, con noi, Lucy.