Giusto il tempo di scendere alla spicciolata dall’aereo ed entrare concitata all’Ariston, di ritorno da un brunch estenuante in cui ho cordialmente rifiutato l’incarico di ministra della cultura offertomi da Marine Le Pen. Ho sempre preferito la rassegna canora di Castrocaro ma, in fondo, nella vita le tautologie sono tutto: Sanremo è Sanremo.

Una prima serata di rodaggio, dalla regia non impeccabile, in cui gli ingredienti sono giusti ma le dosi da ricalibrare; un po’ come leggere Schopenhauer. Carlo Conti conduce, nell’eterno ritorno di se stesso, sempre il medesimo programma, poco importa che sia un quiz, un talent di imitazioni o il Festivàl della canzone italiana: l’ego ipertrofico della medietà viene lanciato a gran velocità e tutto ruzzola in quel carrozzone che va avanti da sé, con le regine, i suoi fanti, i suoi re. Alchimia ancora instabile, anche se divertita, quella con Maria De Filippi ma, come si suol dire, si sa ciò che entra nell’atanor, non si conosce quel che ne esce. L’imperatrice di Mediaset impronta comunque di sé la trasmissione e, verso compieta, comincia a sciogliere la rigidezza adamantina, lasciando intravvedere la speranza nel fondo del vaso di Pandora. Tiziano Ferro si mette a servizio della musica omaggiando Tenco, ma il brano lo sovrasta inghiottendolo come il pescecane fa con Pinocchio. Carmen Consoli torna sul paco dell’Ariston come ospite e, se è vero che conoscere è ricordare, il richiamo alla sua esibizione con Nilla Pizzi nel 2010 è un balsamo per mente e cuore. Crozza parte tiepido e si riscalda cammin facendo, Mina canta Tim e la performance canora di Paola Cortellesi in coppia con Antonio Albanese si rivela il miglior duetto sanremese dai tempi dei Jalisse. Nell’insalatiera di Sanremo si riversa, immancabilmente, un pot-pourri perverso e polimorfo: tributo alle forze dell’ordine, lotta al bullismo, furto dell’identità, gigantismo e un Ricky Martin capace di rendere nuovamente fertile Cartagine. Un melting pot non completamente riuscito; d’altronde, o sei in possesso delle doti demiurgiche di Pippo Baudo, o difficilmente riuscirai a ottenere un nazionalpopolare di qualità.

Sublime il collegamento con la sala stampa a cura di Rocco Tanica, surreale e ficcante, la cui assurdità nobilita gli animi come solo le vicende della famiglia Malaussène riescono a fare. Così come degno di nota è il Dopo Festival, condotto anche quest’anno da Nicola Savino e dalle voci della Gialappa’s Band: il decano Mario Luzzato Fegiz inaugura la trasmissione con un j’accuse nei confronti delle ‹‹scorregge elettroniche›› per poi lasciare spazio all’altezzosità di Ron, alla ricetta dei ‹‹vicini di casa al sale›› del ritrovato Albanese, ai cardinali che twettano la canzone della Mannoia e via dicendo. L’apogeo splendente di un climax televisivo non privo di bellezza, che sembra riservarci altri notevoli cadeaux mediatici.

Ma veniamo al sugo della faccenda, come direbbe il buon Ludovico Antonio Muratori. Lungi dal voler emulare le delicate orme di Claudia Vinciguerra, vesto i più modesti panni della maestrina dalla penna rossa e mi appresto a stilare le mie pagelle.

GIUSY FERRERI
Parole e suoni gutturali di una lingua sconosciuta rendono difficile la comprensione del testo ma il brano è decisamente radiofonico.
Voto: 6+

FABRIZIO MORO
La bellezza un po’ ruspante e la voce graffiata non salvano un’esibizione nel complesso noiosa.
Voto: 4,5

ELODIE
Un brano dalla linea musicale trita e ritrita che non esalta i colori della sua vocalità; attenzione all’effetto Elsa Lila.
Voto: 6-

LODOVICA COMELLO
Fresca ma naïf come l’abito che ha indossato.
Voto: 4

FIORELLA MANNOIA
Testo interessante, anche se troppo retorico, impreziosito da un’interpretazione di gran classe.
Voto: 8

ALESSIO BERNABEI
Il vuoto assoluto in una sigla da cartone animato.
Voto: 3

AL BANO
Testo logoro, prestazione vocale decisamente sottotono, musica tuttavia capace di conferire un certo pathos.
Voto: 5

SAMUEL
Interpretazione pulita ma è tutto già visto e già sentito.
Voto: 6

RON
Completamente fuori fuoco, su tutti i fronti.
Voto: 2

CLEMENTINO
Solita minestra.
Voto: 4

ERMAL META
Testo importante ma, come direbbe Mara Maionchi, non l’ho capito bene; mi riservo di giudicare meglio al secondo ascolto.
Voto: 6 politico

In fondo, il Festivàl è un’esperienza mistica, un po’ come l’amor che move il sole e l’altre stelle, e questa sessantasettesima edizione non fa eccezione.