Esistono pellicole che non rientrano facilmente nelle categorie stilistiche o narrative che siamo abituatə a usare, e proprio per il fatto di essere così restie a qualsiasi tipo di classificazione risultano ancora più interessanti. Lo sconfinamento tra generi non è affatto una debolezza nella struttura narrativa di un film, ma anzi a volte può esserne la forza, e diventare una modalità che permetta di esplicitare ancora di più il senso interno dell’opera. La regista francese Noémie Merlant, con il suo Les femmes au balcon (Francia, 2024) in proiezione alla 22° edizione di Gender Bender, ne ha dato una prova magistrale, un esempio di come il sovvertimento dei canoni stilistici e la loro compenetrazione possa creare un effetto di spaesamento nellə spettatorə, costrettə a quel punto a dover riflettere sul messaggio che la regista vuole trasmettere.
La narrazione di Les femmes au balcon è ambientata a Marsiglia durante una calda estate, e segue le vicende di tre giovani donne che si trovano ad affrontare delle situazioni in cui emergono chiaramente delle dinamiche di violenza di genere. Il luogo dell’abuso e della sopraffazione è ben inquadrato su quei bianchi palazzi tipici del sud della Francia dove ogni finestra, ogni balcone, diventa un piccolo tassello che rappresenta parti della società. In questo film, infatti, guardare la finestra di qualcun’altrə non significa solo vedere l’interno di una casa, ma pare avere la validità di uno sguardo sulla società nella sua interezza, con le sue mostruosità e la sua violenza intrinseca. Se in un primo momento questo sguardo sembra essere solo di natura voyeuristica, stuzzicato dai corpi nudi e dai pettegolezzi, in seguito assume un altro significato, acquistando la capacità di vedere oltre, e arrivando a cogliere la violenza patriarcale come qualcosa di sistemico, che esiste nell’intero corpo sociale. Ed è proprio in quel momento che si capisce quanto gli uomini in questa storia non siano capaci di guardarsi veramente, e di quanti sforzi facciano per nascondere e negare la sofferenza che infliggono con la loro violenza.
In questo film i generi sono fluidi, quasi sfuggevoli, si passa da scene che potremmo definire horror a situazioni comiche o romantiche, tutto questo nel lasso di qualche secondo. Queste variazioni possono essere a loro volta dolci e accoglienti, oppure brusche, quasi traumatiche nella loro velocità. Ma a ben vedere tutti gli elementi di questo film, dalle inquadrature alle luci, collaborano per creare un effetto di spiazzamento in chi guarda, trovandosi a dover scardinare nell’arco di un’ora e mezzo circa tutte le sue convinzioni sui canoni stilistici della cinematografia. Se a una lettura superficiale questo terremoto stilistico e visivo potrà sembrare solo un escamotage per creare un collage di cose già viste e riviste, in realtà la sua potenza è direttamente proporzionale alla sua valenza politica. Noémie Merlant ha infatti voluto porre al centro della rappresentazione la violenza di genere e le sue conseguenze attraverso lo squarcio che ha creato in quel velo di assuefazione mediatica a cui siamo tuttə abituatə. È proprio attraverso il superamento di questa mescolanza di stili e luoghi comuni del nostro immaginario cinematografico condiviso, un’unione forzata ma anche a tratti ironica, che si giunge al messaggio profondamente politico del film.
Immagine in evidenza: genderbender.it
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