IL LINGUAGGIO MEMETICO COME PRATICA POLITICA

di Antonia Caruso

Si può fare politica frocia+ attraverso i meme? Assolutamente sì, ed è anche una risposta alquanto retorica dal momento che da qualche anno internet, vezzeggiato anche come “l’internet”, entità multifasica che unisce dark web e gattini, è diventato il terreno di battaglia dove si sfiorano, più che scontrano, analfabeti funzionali, politici in fase orale, gente comune, prozie, attivisti, spammer, troll e memer a vari livelli di ironiaI dispositivi sociali sono stati formalizzati solo dopo un po’, quando ci si è accorte che il mondo fuori era ben più spaventoso. Chiamiamola tutela più che chiusura.

Non tutti i contenuti che «fanno impazzire/commuovere la Rete» sono meme. Il video di un bradipo che suona Chopin non è un meme, è solo un bradipo che suona Chopin. Se a quel video venisse cambiata la colonna sonora con un pezzo dei Napalm Death, e poi Britney Spears e poi qualche immancabile hit dance degli anni ‘90, tipo What Is Love, potremmo avere davanti un meme, ma solo se il video originale fosse riconoscibile come immagine-matrice sul quale costruire nuovi significati, altrimenti sarebbe solo una buffa variazione.

I meme, quindi, devono essere riconoscibili come tali. Un po’ come per le storielle sui carabinieri, ma con molti più livelli di ironia, metaironia e metametaironia. A un certo livello, i meme diventano una specie di linguaggio per iniziati, degli inside jokes tra geologi. Non a caso, le cricche dietro a tutto questo sono maschi etero cis, almeno in Italia.

Un meme deve avere quella che viene definita “cornice memetica”, riproposta sempre, appunto, con una cornice, un motivo ricorrente che ha delle variazioni. Qualche esempio: Fry di Futurama che strizza gli occhi; il doppio Drake disgustato/soddisfatto: Willy Wonka che appoggia il suo sorrisetto sulla mano per prenderti in giro o la coppia etero con lui che si gira verso un’altra ragazza mentre la legittima compagna lo guarda esterrefatta. L’immagine è sempre la stessa, ma il significato viene scomposto e risemantizzato dalle cosiddette caption, le scritte sovraimpresse ai meme.

L’ultimo esempio riporta comunque un conflitto e le scritte creano e disfano conflitti sempre diversi tra Io, Super-Io ed Es, o, in uno psicodramma di qualsiasi tipo, tra il bisogno di dormire, il bisogno di cercare immagini per masturbarsi e il tempo.

Il nostro Ministro dell’Interno ha tutta una sua strategia social che ben si coniuga con l’aroma dei “KAFFFÈÈÈÈ” e dei “buongiornissimi”. È una comunicazione semplice, condita da svariate divise e post diffamatori, in genere verso delle ragazze che fanno politica. Fintamente genuina e molto funzionale, non ha però nulla di memetico.

L’alt-right nata negli Stati Uniti, e ora con una posizione sempre più rilevante nel dibattito pubblico, sta emergendo anche in Italia, seppur con un posizionamento diverso da Lega e M5s (sono di destra, sì). Questa costola caotica della destra ha fatto dei meme una pratica politica usando, tra le altre cose, una rana verde chiamata PepeFrog come simbolo. Una specie di svastica nascosta. Lo scenario è vasto e complesso e per fortuna le destre italiane neofasciste, cattoliche e neoliberali, non hanno abbastanza senso dell’umorismo per usare i meme.

A questo punto tocca a noi: la pratica memetica è necessaria, come è necessaria una buona strategia di comunicazione senza entrare in oscuri ed esoterici tunnel semiotici. Occorre sottrarre la palma memetica alle congreghe etero-cis. Dobbiamo smarcarci innanzitutto da una politica unicamente dei diritti e creare una controffensiva memetica aggressiva e, uso un termine che andrebbe meglio per uno scooter, agile.

pubblicato sul numero 44 della Falla, aprile 2019