O DELLE TEORIE QUEER ANTISOCIALI

Lorenzo Bernini insegna Filosofia politica e sessualità all’Università di Verona. Gli abbiamo chiesto di spiegare alle lettrici e ai lettori della Falla che cosa sono le teorie queer antisociali, di cui tratta anche il suo ultimo libro Il sessuale politico: Freud con Marx, Fanon, Foucault, appena uscito per le Edizioni ETS. Questa è la sua risposta.

La prostituzione non è un lavoro come un altro. E non solo per i rischi di sfruttamento a cui è soggetto/a chi la pratica, soprattutto se donna, e per le leggi proibizioniste vigenti in molti paesi del mondo. È che il sesso non è un’attività come le altre: a provarlo è lo stigma che continua a colpire chi esercita la prostituzione anche laddove essa è legale. Lo stesso vale per la pornografia. Da dove proviene questo stigma? E perché, ancora, il revenge porn è una forma di ritorsione tanto violenta quanto efficace? Che cosa ci disturba tanto della condivisione pubblica di video che ci ritraggono mentre facciamo sesso? Perché la riteniamo così umiliante e diffamante, talmente insopportabile che questo tipo di reato è assimilabile a un’istigazione al suicidio? Anche in questo caso, il genere della vittima – di solito una donna – non è indifferente, ma la spiegazione non sta solo in questo. 

Ricordate – è un altro esempio – l’ultimo scandalo che ha investito il sesso tra maschi nel nostro paese. Era il febbraio 2017, la legge Cirinnà era stata promulgata da meno di un anno. In TV imperversavano trasmissioni strappalacrime in cui coppie di donne e di uomini raccontavano le loro storie – romantiche, edificanti, finalmente coronate dall’unione civile. 

Ma è bastata una puntata delle Iene per ritrovarsi di colpo nel 1960 nell’Italia dei Balletti verdi (caso celebre, chiuso anni dopo in tribunale, in cui le accuse di festini omosessuali e prostituzione maschile furono lanciate con precisi fini politici dalla destra bresciana, ndr). Assemblando immagini girate di nascosto in saune e cruising bar, in cui erano visibili corpi maschili nudi impegnati in fellatio, coiti anali e fist fucking, il servizio suscitava vergogna in chi si identificava con quei corpi, indignazione e disgusto negli altri telespettatori. L’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) aveva predisposto un finanziamento di 55.000 euro per un progetto contro l’omofobia che avrebbe coinvolto l’Anddos (Associazione nazionale contro le discriminazioni da orientamento sessuale), a cui erano affiliati i club di cui sopra. Era questa la notizia. Ne è seguito un putiferio: il bando di finanziamento è stato sospeso, il presidente dell’Unar e quello dell’Anddos hanno rassegnato le dimissioni, il web si è scatenato in una feroce campagna omofobica, a Napoli una discoteca Anddos ha ricevuto intimidazioni da Forza Nuova… Ma perché nessuno mai protesta quando a ricevere fondi pubblici per progetti di carattere sociale è l’Arci (Associazione Ricreativa Culturale Italiana), mentre la partecipazione dell’Anddos a un bando dell’Unar ha suscitato tanto clamore? 

La risposta è banale: perché all’Arci sono affiliati bar, ristoranti e balere, non discoteche con darkroom, cruising bar e saune gay. Potete forse desiderare – ma siete poi sicuri/e? – un mondo in cui giocare a scopone scientifico in un circolo Arci e scopare con partner multipli in un circolo Anddos siano percepite come attività equivalenti, ma nel nostro mondo questa equivalenza non si dà.

Negli Stati Uniti, autori e autrici come Leo Bersani, Teresa de Lauretis, Lee Edelman, Laurent Berlant, hanno avviato una riflessione che utilizza strumenti teorici della psicoanalisi proprio per indagare l’effetto strano e straniante (queer, appunto) che il sesso, considerato nella sua dimensione propriamente sessuale (e non in quanto genere come nella produzione di Judith Butler), da sempre esercita sul genere umano. Si è parlato di teorie antisociali, perché questi autori e autrici concordano sul fatto che, minacciando la padronanza che il soggetto ha di sé, il sesso minaccia anche la sua iscrizione nella società, conducendolo ogni volta in una dimensione psichica selvaggia, tremendamente eccitante ma anche sgradevole, finanche disgustosa, che perturba il suo senso di sé. Ecco da dove derivano lo stigma della prostituzione e della pornografia, l’efficacia del revenge porn, lo scandalo delle saune gay – i froci e le puttane. Nella nostra cultura, il processo di civilizzazione si è fondato sul tentativo di esorcizzare il pericolo che il sesso rappresenta per la vita associata attraverso il rito del matrimonio. 

Non si fa sesso per fare figli – se non rare volte nella vita – ma per godere: attribuendo invece al sesso una finalità primariamente riproduttiva, il matrimonio gli conferisce il senso di una promessa di avvenire da cui gli sterili atti delle minoranze sessuali sono restati per lungo tempo esclusi. Venuta meno la progettualità rivoluzionaria dei movimenti di liberazione sessuale degli anni Settanta del Novecento, i movimenti lesbici e gay non hanno quindi fatto altro che seguire una strada già battuta: cercare riscatto dalla negatività del sesso, di cui l’omosessualità è tradizionalmente considerata rappresentante, attraverso l’accesso a diritti familiari e tecniche di riproduzione assistita che permettano anche a lesbiche e gay di acquisire piena cittadinanza contribuendo al futuro della nazione e della specie.

Ma che cosa significa, poi, per le persone LGBT+ diventare pienamente cittadine? Essere riconosciuti come buoni mariti e buone mogli, come buoni padri e buone madri, come vere donne e veri uomini, equivale davvero a essere riconosciuti come LGBT+? I diritti matrimoniali e la cultura dei diritti in generale, sono davvero sufficienti a liberare le minoranze sessuali dalla negatività che rappresentano nella società eterocissessista e a renderle cittadine come le altre? 

Le Iene, andando in sauna, ci hanno mostrato che così non è.

Le teorie queer antisociali ci invitano a tenerlo ben presente, e a fare leva sulla consapevolezza del carattere perturbante del sesso per resistere alle sirene di un’integrazione escludente. Al fine di ottenere una cittadinanza ancor più piena – oltre a sacrificare ipocritamente e illusoriamente una parte di sé, per farsela poi sbattere in faccia da una trasmissione in prima serata – le brave mogliettine lesbiche e i bravi maritini gay potrebbero infatti essere tentati di scaricare il fardello della negatività sessuale sulle spalle di altri, generando così non solo prole, ma anche inaccettabili contrapposizioni. Gay e lesbiche per bene contro gay e lesbiche e trans e bi- e pan- sessuali (e +) per male. Gay e lesbiche di destra contro i migranti omofobi e stupratori e contro le migranti prostitute. 

Avete presente Alice Weidel? E Renaud Camus? Vogliamo davvero finire con Salvini, a recitare il mantra del «lo dico da papà»? 

Pubblicato sul numero 52 della Falla, febbraio 2020

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