Intervista a Filippo Nimbi, Psicologo, Psicosessuologo e Dottorando presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.
di Carmen Cucci
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza: eteroflessibilità, pansessualità, poliamoria e pangenderismo; diversi modi di esprimere lo stesso concetto o ci sono sfumature a cui prestare la dovuta attenzione?
Dare una risposta breve è molto difficile. In questo contesto storico ci troviamo di fronte al fiorire di “nuove” sfumature dell’identità sessuale, sempre più diversificate fra loro, ma che fanno riferimento a quattro concetti basilari:
Sesso – Inteso come manifestazione biologica e genetica del corpo sessuato. Dovremmo considerare questa categoria non strettamente binaria (maschio o femmina) ma capace di accogliere varie possibilità come le ambiguità genitali e alcune sindromi genetiche che non permettono il riconoscimento immediato del sesso fenotipico.
Identità di genere – che esprime il senso unitario e persistente di se stessi come essere maschi, femmine o ambivalenti e si sviluppa nell’infanzia e nell’adolescenza.
Ruolo di genere – è influenzato dalla cultura ed esprime l’aderenza a comportamenti e credenze ritenute stereotipicamente di un genere o dell’altro (es. portare la gonna per una donna o essere “virile” per un uomo).
Orientamento sessuale – che descrive da chi ci sentiamo attratti sessualmente o affettivamente.
Sorretti da questi grandi “pilastri”, possiamo rintracciare il significato di concetti come eteroflessibilità (darsi la possibilità di avere rapporti omosessuali in determinate circostanze pur dichiarandosi eterosessuali), pansessualità (orientamento sessuale caratterizzato da una potenziale attrazione estetica, sessuale o romantica per la persona indipendentemente da sesso, identità di genere, ecc…), poliamoria (intrattenere una relazione sessuale e/o sentimentale con più partner accettata consensualmente da tutti i partecipanti) e pangenderismo (che va oltre il concetto d’identità di genere binario, maschile e femminile, verso differenti possibilità, incroci e continue evoluzioni) siano in realtà declinazioni, seppur molto diverse, della più generale “identità sessuale”.
Partendo dal presupposto che nomen est omen, quali potrebbero essere i pro ed i contro dell’iper-etichettamento contemporaneo?
Avere delle etichette serve, soprattutto nella fase dello sviluppo; il nostro pensiero si evolve proprio partendo dalle categorie ben definite. Crescendo però dovremmo imparare che le categorie sono una mera semplificazione di quello che è la realtà. Le categorie sono molto utili in un primo momento per capire di cosa si sta parlando, ma più si conosce l’argomento e più andrebbero abbandonate. Il rischio è quello di vedere la persona che abbiamo di fronte come una serie di etichette, senza soffermarci a scoprire l’unicità che nasconde. E questo è un problema generale della società contemporanea, a prescindere di tematiche che riguardano la sessualità, che sono sempre più delicate e permeate da tabù.
Cosa porta al bisogno di differenziare la pansessualità dalla panromanticità?
A monte credo ci sia un discorso più “antico” basato sulla differenza fra affettività e sessualità. Sono due concetti molto importanti, che spesso vanno di pari passo nelle nostre esperienze, ma non necessariamente. Lo stesso vale per il pan-… Posso sentirmi attratto sessualmente da diverse tipologie di persone ma preferirei avere una storia con un tipo specifico o, viceversa, avere una preferenza di partner nei rapporti sessuali, ma sentirmi aperto all’amore a prescindere dalla tipologia.
Se il sesso definisce in maniera netta il dismorfismo corporeo, perché altrettanto non accade per quanto riguarda l’identità di genere psicologica? È la pansessualità, intesa come liberazione da un’identità di genere binaria, una delle possibili risposte a questa domanda?
La natura non è mai divisa chiaramente in categorie, siamo noi a cercare di classificarla perché ci dà più sicurezza. In realtà, come un po’ dicevo anche prima, anche in biologia le distinzioni non sono così nette come siamo abituati a pensare. La biologia è caratterizzata da mosaicismi e mutazioni genetiche continue e spesso silenziose. Quando poi si parla di identità di genere e, più in generale, di psicologia, ci rendiamo conto che le categorie binarie ci stanno davvero strette. Ragionare con categorie rigide ci impedisce di vedere tutte le sfumature di colori e possibilità che invece esistono in natura. La pansessualità può rappresentare la risposta, ma anche l’effetto di una società che ha sempre più voglia di vedere queste belle sfumature.
La pansessualità potrebbe risolvere le contraddizioni presenti anche nell’alveo della stessa definizione di omosessualità? Ad esempio, una lesbica butch che desidera donne esclusivamente femminili non ha – secondo il concetto di genere ed identità di genere – un orientamento identico ad un’altra donna mascolina che s’innamora di donne altrettanto mascoline, così come il gay macho che cerca l’uomo effeminato non fa uso delle stesse dinamiche relazionali di quello che desidera il suo omologo. La binarietà, in questo caso, serve solo a semplificare la nostra visione della realtà, oppure la banalizza?
È un discorso molto complesso. Distinzione va fatta tra come mi sento (identità di genere) e come mi esprimo (ruolo di genere). Essere butch o effeminati riguarda il comportamento (non l’identità) e ci colpisce ancora perché in contrasto con gli stereotipi di genere. A mio avviso, nel linguaggio scientifico avere dei termini specifici come “pansessualità” amplia il ventaglio di possibilità di autodefinizione del proprio orientamento sessuale e la possibilità di parlare con più precisione di temi ancora scottanti come la sessualità. Dall’altro lato, però, può rischiare di confondere le idee ai meno addetti ai lavori: i termini omosessuale, gay, lesbica e transessuale sono ormai di grande uso comune (anche se “transessuale” suscita ancora qualche dubbio). Termini quali pansessualità o bisessualità sono meno conosciuti e creano più confusione nelle persone. Perciò il problema, più che l’uso di termini specifici (assolutamente indispensabili), è la mancanza di un insegnamento e di una cultura della sessualità a partire dall’educazione sessuale nelle scuole.
Stilisti genderfree e rivendicazioni sulla sessualità fluida: moda passeggera, punto d’arrivo o semplicemente di partenza? Potremmo ritrovare, storicamente, un precedente alla situazione odierna?
Le arti e le mode sono frutto dei tempi e della cultura. Io leggerei queste nuove correnti come espressione di un’evoluzione e di un’apertura lenta ma inesorabile verso la diversità e l’identità sessuale. Fenomeni di questo tipo sono sempre esistiti, nella moda come nell’arte… Coco Chanel, Tamara de Lempicka, Frida Kahlo sono solo alcuni nomi che mi vengono subito in mente. Probabilmente in futuro sarà caratterizzato sia da movimenti di omologazione sia di differenziazione, forze che coesistono da sempre nella società poiché tutti vogliamo sentirci unici, ma mai del tutto diversi.
Cosa si risponde all’affermazione “sono pansessuale, ma mi definisco bisessuale poiché mi risulta più semplice”? Non si tratta di un intervento volto a marginalizzare qualcosa che, per sua stessa etimologia, dovrebbe risultare particolarmente inclusivo e sdoganante?
La reazione che mi suscita in un primo momento questa affermazione è di completa comprensione. Spiegare a chi abbiamo di fronte i nostri gusti non è mai semplice; è anzi molto faticoso e carico emotivamente, soprattutto se la parola “pansessuale” non è di dominio pubblico. Però il modo più efficace per far sì che questa parola circoli e venga sempre più riconosciuta è proprio partendo dal basso, dalle persone che ci sono intorno. E se non ci piace la parola in sé, magari possiamo provare semplicemente a spiegare che l’altro ci attrae per quello che è, a prescindere che sia uomo, donna, trans o …
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