«Chi non conosce le leggi si priva del piacere di violarle». E Jean Genet le conosceva molto bene. Nato a Parigi il 19 dicembre 1910 da padre ignoto, fu abbandonato dalla madre ancora in fasce e affidato a una famiglia adottiva. Ladro precoce, crebbe tra riformatori e carceri, valicando confini per tutta la sua esistenza e trasformando la marginalità nel cuore della sua produzione letteraria, teatrale e saggistica.

Autore di una prosa brutale e priva di filtri, erotica e viscerale, la vita di Genet oscillò tra la celebrazione quasi immediata – per Sartre era un «santo» della ribellione esistenzialista, Derrida trovò in lui l’ispirazione per Glas – e un vagabondare incessante che lo portò a essere inviso alle istituzioni perché pericoloso e sovversivo. Capace di influenzare l’immaginario collettivo con opere come Querelle de Brest e Notre-Dame-des-Fleurs, sempre in bilico tra finzione e biografia, lo scrittore francese dedicò gran parte della sua esistenza alla lotta politica, sposando le cause delle Black Panther e, negli ultimi anni, della Palestina, che raccontò in Quattro ore a Chatila. Scomparso a causa di una caduta in una camera d’albergo il 15 aprile 1986, fu tumulato in Marocco, come aveva lui stesso deciso prima di morire.

Illustrazione di Claudia Marulo