«Vivevo la mia diversità come dannazione ed espiazione, come destino che non potevo accettare». Giovanni Testori descrive così il rapporto con la sua omosessualità. Nato a Novate Milanese il 12 maggio del 1923, l’intellettuale lombardo ha animato la scena culturale italiana del secolo breve. Dopo lo scarso successo come pittore, Testori si dà al teatro, stringendo un sodalizio con Luchino Visconti che dirigerà L’Arialda, prima opera teatrale in Italia a essere dapprima censurata e poi sequestrata, nel 1960. La tragedia plebea mette per la prima volta al centro della scena un amore omosessuale, ricevendo critiche da destra per la centralità dell’eros, da sinistra per il suo moralismo. La tensione morale e cattolica attraverserà tutta la produzione testoriana, che farà discutere per le sue prese di posizione fuori dal coro, spesso paragonate a quelle di Pasolini, di cui prenderà il posto come firma di punta del Corriere della Sera. Autore dallo stile composito e inventivo, visceralmente legato alla periferia milanese e a chi la abita, usa la parola come «un corpo da torturare, amare e infine distruggere», secondo Walter Siti. Si spegne a sessantanove anni a Milano.