PERCHÉ LA RAPPRESENTAZIONE DELLE DIFFERENZE AL CINEMA E IN TELEVISIONE È COSÌ NECESSARIA
Una sola donna nella storia ha vinto l’Oscar come miglior regista. In televisione, il 68% dei programmi realizzati nella stagione 2017/18 aveva nel cast più maschi che femmine. Su network, cable e streaming i ruoli femminili regular, ovvero parte del cast fisso, sommavano a circa il 40%, che scendeva al 7% per le donne latine e al 19% per quelle afroamericane. Alle Asian-Pacific American va ancora peggio, visto che dal 1958 nessuna di loro ha più vinto un Oscar nemmeno come attrice. E ci limitiamo alle donne che si identificano come etero perché ovviamente da Ellen Page nel 2007 (prima che si dichiarasse pubblicamente), le attrici lesbiche nominate o con la statuetta in mano non sono più esistite fino a Lady Gaga, bisessuale, nel 2018.
Passando dalle persone ai personaggi, la percentuale è altrettanto sconfortante: l’intera comunità LGBT+ è rappresentata in televisione, nel 2019, da una percentuale dell’8,8% di personaggi nel prime time, che comunque costituisce un record storico. Le persone trans? Quest’anno anche per loro si è toccato un record, che ammonta però alla ridicola cifra di 26 personaggi trans o non binari su 900 totali, la cui quasi totalità in un’unica serie – Pose, di Ryan Murphy. Alle donne etero bianche come sempre va meglio, ma la maggior parte di loro è ancora ritratta in ruoli ancillari e, come ogni altra categoria sottorappresentata, sono spesso ridotte a stereotipo o a meccanismo narrativo utile a far evolvere il protagonista maschio. Nella maggioranza dei casi, quindi, siamo ancora i personaggi che muoiono per far diventare eroi gli eroi, siamo i ruoli di contorno che servono a dimostrare la buona volontà dei produttori, le madri, i compagni e le compagne dei ruoli principali, che aiutano i protagonisti nel loro percorso narrativo.
Se non siamo maschi bianchi etero cis, è probabile che guardando una serie televisiva faticheremo a trovare qualcuno il cui aspetto e la cui esperienza ci rappresenti, e per quanto potrebbe sembrare un problema di minor conto a fronte della discriminazione nella vita reale, non lo è. Anzi, è parte di un circolo vizioso: la discriminazione nella vita professionale determina la mancanza di persone dietro la macchina da presa che esulino dalla norma stabilita e questa mancanza determina l’assenza, o la cattiva scrittura, di ogni personaggio che non rientri nella definizione della normalità stabilita dalle persone che hanno il potere e l’intenzione di mantenerlo saldamente, facendoci credere, attraverso i media, che questa normalità sia eterna e inscalfibile.
Marian Wright Edelman diceva: «Non puoi essere quello che non vedi», e che tu sia una ragazzina etero che vuole giocare a calcio o un ragazzo gay con l’Hiv o una persona trans, non binaria, asessuale, bisessuale, se insomma sei in cerca di una tua identità e del tuo posto nel mondo al di là della binarietà, dell’eteronormatività e del predominio maschio, bianco e borghese sul mondo, per farlo hai bisogno di sapere che qualcun* altr* l’ha fatto prima di te.
Abbiamo bisogno di eroi ed eroine che somiglino a noi, ne abbiamo bisogno quando lottiamo per i nostri diritti, ma ne abbiamo bisogno anche quando accendiamo la televisione, per sentirci parte di una comunità e per sapere che le nostre emozioni non rappresentano una devianza da una norma stabilita, ma sono parte di uno spettro ampio, mutevole, in grado di contenerci e rappresentarci. Abbiamo bisogno di vedere la realtà rappresentata nelle sue sfumature, ma anche di vedere la versione hollywoodiana di quella realtà, perché nessun maschio etero cis somiglia davvero a Iron Man o a Indiana Jones ma da bambino, guardandoli sullo schermo, ha potuto credere che quella versione di se stesso fosse possibile. Lo meritiamo anche noi.
Guardare alla serialità televisiva e al cinema con il filtro del femminismo intersezionale è spesso un’esperienza faticosa e difficile perché necessita, da parte di chi fa critica, la volontà di scardinare i presupposti che cent’anni di storia ci hanno venduto come dati di fatto, di togliere dai propri occhi il filtro sulla realtà imposto dai maschi bianchi etero e cis. Eppure è un’esperienza estremamente liberatoria perché consente di collegare tra loro la discriminazione sistemica e la sua costante legittimazione attraverso i media.
La mancanza di complessità nella scrittura dei personaggi non è un fenomeno isolato dalle circostanze in cui una serie viene prodotta, ma come dicevamo è una diretta conseguenza della mancanza, nei posti di comando, di persone che abbiano esperito in maniera diretta il mondo come quei personaggi. Ciò non significa che ogni autore maschio bianco etero cis abbia una visione discriminatoria del mondo, ma che ne ha una visione parziale che grazie alla sua egemonia economica e professionale abbiamo finito per credere fosse l’unica possibile.
È il motivo per cui anche quando cerca di dimostrare attenzione verso altre categorie, il maschio bianco etero e cis finisce per inquadrarle sotto la lente dello stereotipo o definirle secondo criteri che capisce e conosce: guardate Game of Thrones e troverete donne rese forti dalla violenza maschile subita o pazze dal non poter avere figli, guardate al cinema mainstream e troverete persone LGBT+ quasi mai protagoniste e definite nelle loro azioni dal proprio orientamento sessuale e di genere anziché dalla loro personalità, guardate ai film che vincono l’Oscar (come Green Book) e troverete non bianchi utilizzati come strumento di crescita del bianco protagonista, in perenne sudditanza alla sua visione del mondo. Persone grasse e persone con disabilità beh, le troverete soprattutto come spunto comico o tragico e non le vedrete praticamente mai fare sesso – ma vedrete un sacco di lesbiche fare sesso, perché vedere due donne a letto insieme è l’unica cosa del mondo lesbico che interessi al maschio etero.
Se guarderete attentamente, vedrete un cinema e una televisione che ci ha talmente abituato a identificarci in personaggi che non ci rappresentano, da farci dimenticare di esser stat* lasciat* indietro, e ci ha fatto credere che la bromance, la donna forte, l’amico gay, l’amica grassa, la trans che si prostituisce potessero essere l’unico modo di vedere noi stess* sullo schermo. La verità è che invece possiamo pretendere di più, ma per ottenerlo dobbiamo contribuire come pubblico al miglioramento di ciò che vediamo: smettendo di accontentarci di quello che ci viene graziosamente offerto come contentino dal maschio bianco etero cis, pretendendo di vedere cose non soggette alla sudditanza della sua visione egemonica. Possiamo farlo solo impegnandoci attivamente anche quando andiamo al cinema o vediamo la televisione, guardando con occhio critico e premiando le persone che alla regia, alla sceneggiatura, alla fotografia, alla produzione contribuiscono alla creazione di una rappresentazione delle differenze necessaria a noi, ma soprattutto alla versione più giovane di noi stess*, a chi verrà dopo di noi e a cui possiamo dare gli strumenti per difendersi da tutte le egemonie culturali che ora ci opprimono.
Pubblicato sul numero 47 della Falla, luglio/agosto/settembre 2019
Foto: The Mirror
Immagine in evidenza: Elle
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