LA RIVOLUZIONE DI FRANCA VIOLA
“Mai avere paura di lottare.”
Franca Viola
Mentre il ricordo degli orrori della Seconda Guerra Mondiale viene rimpiazzato dagli sketch del Carosello e sempre più automobili corrono tra le strade interpoderali dei mezzadri, l’Italia degli anni ‘60 tramite i giornali e la televisione in bianco e nero emigra ad Alcamo, un paesino nella provincia di Trapani, per seguire lo scandalo che divide e interroga l’opinione pubblica.
Una sola domanda mette in crisi tutti: “Voi sposereste Franca Viola?”.
La morale, inseparabile sorella dell’etica, la mafia che controlla un’Italia in espansione e l’onore di cui la legge si fa serva vengono chiamati in causa presso il Tribunale di Trapani nel dicembre del ’66 dal ‘no’ di una ragazzina di 17 anni dai lunghi capelli neri.
L’articolo 544 del codice penale prevedeva infatti che: “il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali”.
In quegli anni non esisteva il reato di violenza sessuale in quanto considerato un oltraggio alla morale della vittima e all’onore della famiglia piuttosto che un reato contro la persona. La mentalità del periodo voleva che si salvassero le apparenze convolando a nozze invece di permettere ad una donna di essere additata come “zitella” o “svergognata”.
Chi altri, oltre al suo violentatore, avrebbe mai avuto il coraggio di sposarla? Franca Viola, però, dice no, dando avvio al processo che comincerà nel dicembre del ’66.
Tra interrogazioni parlamentari e tentativi da parte della difesa del Melodia di screditare la vittima – si arriva a chiedere una perizia per dimostrare che la deflorazione della ragazza fosse avvenuta prima del rapimento, così da poter invalidare i capi d’accusa – la giovane Franca trascorre tutto il periodo del processo confinata ad Alcamo con l’attenzione della stampa locale e nazionale puntata addosso come “la prima donna svergognata”. Ma la forza delle sue posizioni non viene mai meno e il coraggio di opporsi all’imperante ideologia patriarcale di quegli anni l’accompagnano durante tutto il processo, portando così alla condanna a 11 anni di reclusione per Filippo Melodia e i suoi compagni.
Un anno dopo Franca Viola si sposa con il compaesano e amico d’infanzia Giuseppe Ruisi, nonostante i timori di un’eventuale rappresaglia da parte dei parenti del suo aggressore. A distanza di oltre cinquanta anni da quella famosa sentenza Franca, la ragazza che disse no, è diventata un esempio di autodeterminazione per tutte le donne che dopo di lei hanno preso coraggio e rifiutato “il matrimonio riparatore”. Da quella sentenza, le donne hanno combattuto e hanno ottenuto l’approvazione di importante leggi come quella sul divorzio nel 1970, sull’aborto nel ‘78, sull’abuso sessuale nel ‘96 e la più recente sul femminicidio.
Però poi si apre il giornale, dove si racconta che uno stupro di gruppo perpetrato nei confronti di una ragazzina di 15 anni è stato etichettato in diretta nazionale come una “bambinata”. E sprofondiamo ancor prima degli anni Sessanta, prima ancora di Franca Viola.
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