L’estate, dice qualcunə, è la vera misura del tempo. Tante ore di sole, le cene all’aperto, i vestiti leggeri e tanti eventi: moltissimi concerti di tutti i generi, spettacoli, festival, dibattiti, sagre ed eventi sportivi. Ce n’è per tutti i gusti, purché siano gusti normali. Dal 2018 (ultima estate buona, pre-Covid), sono cambiate tante abitudini e tanti regolamenti: ingressi contingentati, uscite scaglionate, varie raccomandazioni – più o meno rigide e osservate – per preservarci dal virus. A tutte queste disposizioni si aggiungono quelle che ogni ente organizzatore impone per il proprio evento nella gestione del pubblico con disabilità. Già, perché ad oggi in Italia non esiste una legge chiara e univoca che stabilisca diritti e doveri di una persona disabile interessata ad assistere a uno di questi momenti: tutto si muove all’interno di consuetudini che, però, possono mutare da un luogo all’altro e da un’occasione all’altra.
Chi scrive ha da poco preso parte a un confronto virtual-epistolare con un gigante del calibro dell’Arena di Verona: io, disabile, volevo acquistare due biglietti – per me e per la mia accompagnatrice – per assistere ad una serata dell’Opera Festival. Varie mail alla biglietteria e varie chiamate al servizio clienti dopo – nelle quali la prima dava una versione e il secondo ne propinava un’altra – mi sono ritrovata con quattro biglietti acquistati, due interi per una lontanissima, poco praticabile, ma più economica gradinata e due disabili (disabile e accompagnatrice, nel mio caso) ridotti, ma obbligatoriamente in platea. Misunderstanding dicono loro, disorganizzazione dico io. E di rimborsi, neanche a parlarne. E anche se questo non vuole proprio essere un articolo di biasimo nei confronti della sola Fondazione Arena, la sottoscritta non è l’unica a lamentarsi di come si pongono nei confronti de* diversamente abili: Sofia Righetti, modella e musicista disabile veronese, ha portato l’Ente fino in tribunale per una discriminazione subita recentemente.
Nessunə più di chi vive le disabilità in prima persona è consapevole di quanto sia complicato venire incontro alle necessità di ognunə, ma questa non è una buona ragione per far passare tutto in cavalleria da parte di istituzioni e organi ufficiali, demandando tutte le responsabilità ad ogni singolo ente organizzatore, comitato o società gestrice – dai teatrini di provincia agli apparati più strutturati. Tanti sarebbero i punti che necessitano di precisazioni. Alcuni organizzatori, ad esempio, prevedono agevolazioni economiche per la persona disabile, altri per l’accompagnatore (che è sempre e soltanto uno, ma non sempre obbligatorio), altri ancora e in misura variabile, invece, dispongono riduzioni per entrambe.
Ma sorvolando sull’aspetto economico, anche la vera e propria logistica dei posti assegnati a disabili non è chiara: la maggior parte dei teatri/stadi/cinema/palazzetti predispone un numero predefinito di sedute che la persona disabile può occupare e alcuni, in fase di prenotazione, chiedono di allegare la propria documentazione clinica che attesti l’invalidità e la compilazione di un modulo dove indicare a che tipo di disabilità si è soggetti (sensoriale, motoria, cognitiva…). Un’idea molto utile è dislocare questə astanti in prossimità delle uscite di emergenza, perché disabili e non, in caso di necessità, abbiano più chance di salvezza. Molto meno buona come idea, se la osserviamo dal punto di vista della privacy e della effettiva disponibilità numerica di posti riservati: se, infatti, prendiamo come metro di paragone altre riduzioni – studenti o in base all’età – mai nessunə si sentirà rifiutare una prenotazione, perché i posti per quella categoria sono esauriti. Inoltre, queste modalità di acquisto impediscono all’interessato di comprare direttamente e velocemente il biglietto, soprattutto se ci si interfaccia con le grandi società di vendita (Ticketone o VivaTicket, ad esempio): sui loro siti non vengono contemplate le riduzioni disabili, ma – in una sezione a parte – vengono elencati i maggiori enti organizzatori, cui rivolgersi direttamente anche solo per recuperare informazioni.
Inoltre, molte portatrici e molti portatori di handicap fanno notare quanto sia discriminatorio poter prenotare i posti a loro dedicati solo e soltanto in una certa area: se è vero, infatti, che spesso questi posti sono in settori privilegiati, è altrettanto vero che non tengono minimamente cura del tipo di disabilità in questione. Mettiamo una sera al cinema: per un disabile motorio, provvisto di sedia a rotelle, la sala dovrà prevedere dei posti senza sedile, cosicché chi acquista il biglietto potrà sistemarsi comodamente (spesso sono collocati nelle ultime file, ai lati della platea); un disabile visivo, magari, preferirebbe invece ottenere un posto più vicino allo schermo. A questo si aggiunge che, considerato il solo e unico accompagnatore, spesso si deve rinunciare alla compagnia di amici e familiari e questa volta andiamo ad ascoltare un concerto, di quelli da migliaia di spettatori: se all’evento sono presenti tre amicə di cui una è la persona disabile e l’altra chi l’accompagna, non è detto che lə terzə trovi posti accanto a loro.
Spesso infatti grandi teatri, palazzetti e stadi scelgono di sistemare apposite pedane rialzate per chi è disabile, e per nessun altrə: sicuro (c’è chi anche chi non la pensa così), ma isolante. Qualora invece queste pedane non siano installate, chi non è né disabile né accompagnatorə rischia di dover pagare prezzi molto alti per non restare da solə. La soluzione potrebbe essere quella di riservare lo stesso numero di posti previsti per persone disabili a serata, ma distribuiti in più settori, adeguando anche l’offerta economica per i vari biglietti, dove non sia già prevista una riduzione. È dello scorso luglio l’episodio spiacevole che coinvolge l’ex nuotatore Manuel Bortuzzo, ora disabile, e che riguarda proprio la dislocazione degli astanti con handicap ai concerti. Nello specifico, quello di Ultimo al Circo Massimo di Roma: VenetoAccessibility, pagina Instagram attiva sul tema dell’accessibilità ai concerti, fa notare come, negli eventi lì tenuti, l’area dedicata alle persone disabili sia generalmente posta molto lontano dal palco, mentre a Bortuzzo sia stata offerta la possibilità di godersi la serata in primissima fila. L’ex atleta, interpellato sui social, non si è espresso, ma la questione è semplice: se, per ragioni di sicurezza, è meglio che le persone disabili siano ospitate altrove, allora perché Bortuzzo ha potuto vivere l’esperienza sicuramente più appagante e coinvolgente del sottopalco? Se, invece, quella fatta a Bortuzzo non è una gentile concessione, ma una pratica attuabile per tuttə ə disabili, allora perché non permettere a chiunque di godersela allo stesso modo?
Per approfondire: https://www.facebook.com/sottoilpalcoancheio/
Immagine in evidenza da truemetal.it
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