Viola Lo Moro nasce a Roma 37 anni fa. È socia della libreria Tuba, libreria delle donne e luogo di presentazioni ed eventi culturali del Pigneto di Roma dal 2007, dove attualmente si occupa del bar e della programmazione culturale, del rapporto con le autrici e gli editori. Insieme a Giulia Caminito e Nadia Terranova cura la collana Mosche d’oro all’interno della casa editrice Giulio Perrone. Militante lesbofemminista, ha partecipato alla vita politica romana prendendo parte a diversi collettivi sul territorio. Ha scritto per K (Linkiesta) per DWF e LetterateMagazine. Dopo Cuore Allegro (2020), Luoghi amati è il suo ultimo libro di poesie, che verrà presentato per il secondo appuntamento di Le nostre poesie cambieranno il mondo – Rassegna di poesie lesbiche al Cassero il 28 ottobre con l’autrice in dialogo con Valentina Pinza.
Qual è al momento lo stato dell’arte dell’editoria e della letteratura femminista e queer in Italia?
Da venditrice libraria e culturale, posso dire che negli ultimi anni l’attenzione quantitativa e qualitativa verso la scrittura delle donne e per la saggistica che ha a che fare con un mondo femminista e queer è più alta. Il problema è che, dall’altra parte, il mondo del libro non riesce mai a decollare totalmente e a diventare davvero un mestiere, cioè con un reddito accettabile, per la maggior parte delle persone che ci lavorano: autori, autrici, case editrici, librerie… Questo anche perché sono poche le politiche culturali che sono volte all’ampliamento dei lettori e delle lettrici. Sarebbe importante ce ne fossero di dedicate per le scuole. Questo discorso vale all’ennesima potenza per la poesia: io non credo necessariamente nei numeri, ma un libro di poesia che vende duemila copie si dice sia un grande successo. Duemila copie non sono nemmeno gli abitanti di un palazzo di Roma!
Quali sono i tuoi modelli letterari e poetici?
Mi sono laureata in Lettere e ho una passione forte per tutto ciò che ha a che fare con le letterature comparate, i romanzi familiari, alcuni autori e autrici dell’Ottocento.
Amo moltissimi poeti del canone, come Montale, Ungaretti, Penna, Rosselli e sono devota a Leopardi. Della poesia contemporanea Anedda, Bre, Calandrone, Insana e Tempest sono di riferimento. E, come tutte noi, ho un debito verso Audre Lorde.
C’è un percorso che segna la strada da Cuore allegro a Luoghi amati? E quali sono questi «luoghi amati»?
Cuore allegro è una raccolta che mette insieme le poesie residuali di dieci anni (la maggior parte è stata cestinata). Nasce dalla vicinanza con una persona che stava morendo, il suo lascito è stato importante per me e allora mi sono decisa a mettere insieme questa raccolta. Come tutti gli esordi, ha questa cosa di venire al mondo con la pretesa di dire tutto, per poi non riuscirci, e mi fa molto tenerezza per questo.
Luoghi amati nasce invece con l’idea di essere un libro scritto e strutturato, nel quale finalmente mi sono concessa anche di lavorare di più la lingua – i suoni, le immagini – non solo poetica, ma con inserti in prosa. Quello che l’io lirico rintraccia all’interno di Luoghi amati è lo sguardo di un rapace che vola sul mondo e ne coglie i dettagli, ma anche vedute molto larghe.
Leggendolo mi è sembrato che il libro fosse suddiviso in sezioni non dichiarate, ma scandite dalla presenza dell’io lirico: se all’inizio c’è l’attesa di un arrivo di qualcosa, forse una nascita, nel corso del libro l’io esce dalla solitudine e va verso la condivisione della parole con un tu.
Vedi, per me è bello parlare del libro perché spesso sono le altre persone che me ne parlano! Ho provato, sì, a fare questa scelta di passare a un futuro nelle ultime poesie e da un tu a un noi, interpellare direttamente chi legge. Mentre all’inizio c’è un elemento di nascita molto forte, di grande primordialità e una chiamata a raccolta di una forma di divinità.
Infatti la prima sezione è aperta da una preghiera. Chi sono gli dèi e la dea che invochi?
C’è un elemento spirituale molto forte che accompagna la mia vita ed è poco importante se da credente o non credente. Quello che credo sia influente, invece, è la ricerca di uno sguardo che risponde a delle domande, anche se rimangono in un qualche modo quesiti impossibili.
Io vorrei che scrittura, letteratura, poesia fossero strumenti individuali e collettivi per riti interiori, per sapersi riconoscere, dire dove si è. La mia poesia vorrei che non fosse manifesto di un qualcosa che può essere risolto – altrimenti scriverei un saggio. La poesia può, se funziona, illuminare in alcuni momenti, grazie all’allegoria e alla metafora, alcune condizioni che hanno delle vicinanze tra loro, per poi rimandare ai lettori e alle lettrici la possibilità di trarre qualcosa di utile, che rimandi loro un’esperienza. È ininfluente Viola, quanto la risposta che arriva da chi legge.
Come pensi che l’identità lesbica si inserisca all’interno del libro?
Non credo sia mai tecnicamente tematizzata, ma è semplicemente in tutte le cose che esistono in me, nel mio modo di guardare il paesaggio, di guardare il corpo di un’altra donna, di parlare dell’esperienza erotica, d’amore, ma anche di contemplare una collettività, le mie sono tutte costituite da soggettività di donne lesbiche.
Quale è il rapporto con Elena Biagini (autrice della postfazione a Luoghi amati)?
Elena e io siamo legate da un rapporto di lotta e amicizia molto forte che si è costituito nel tempo per una reciproco sguardo di riconoscimento e riconoscenza: io devo al suo L’emersione imprevista l’apertura di un mondo, per questo motivo ho chiesto a lei di raccontare me nella postfazione del mio libro.
Lo scorso aprile, inoltre, abbiamo preparato insieme un laboratorio di poesie al campo lesbico di Agape.
Pensi che ci sia la speranza di tornare ai luoghi amati dove non siamo mai tornate, alla fine?
Io credo entrambe le cose: che non si possa tornare nei luoghi amati perché nel momento in cui vengono nominati l’esperienza è già finita e rientriamo nell’ambito della nostalgia, dalla quale di solito non si torna.
Ma credo anche che noi, poete e attiviste, abbiamo una responsabilità feroce nei confronti del mondo di creare continue utopie e quindi sì: «tremeranno ancora…».
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