«Un figlio gay? Lo accetterei con dispiacere. Perché una persona come me eterosessuale vuole che il figlio gli assomigli. Però se non mi assomiglia pazienza. È come se fosse milanista». Le parole del Presidente del Senato Ignazio La Russa sulla reazione che da genitore avrebbe alla notizia di un figlio omosessuale sono di una gravità estrema. La pericolosità delle sue affermazioni sta nella misura in cui queste, lungi dall’essere un esplicito attacco o una condanna, esprimono e assecondano il sentimento omofobo di una larga parte del Paese, a prescindere dal colore politico. Ce l’ha prontamente ricordato una sbiadita icona del nostro movimento, l’ex parlamentare Vladimir Luxuria: «La Russa non è omofobo. Non è vero che un genitore che vota il PD avrebbe avuto una reazione diversa».
Più di ogni statistica, parlano le esperienze di vita di ogni persona appartenente alla comunità LGBTQ+, che al momento del coming out in famiglia ha dovuto scontrarsi con la possibile reazione che la seconda carica dello Stato consegna a Belve: mi dispiace, perché non sei come me e come la norma prevedeva che tu fossi, ovvero eterosessuale.
Il timore di generare questa delusione, la tenacia degli stereotipi che la corroborano e la sofferenza che provoca nella relazione familiare sono tra le cause di marginalizzazione, isolamento, talvolta suicidio tra le persone LGBTQIA+, cause che questo Paese non si degna neanche di indagare con strumenti adeguati, vedi la bocciatura del ddl Zan.
La Russa ci ricorda perché diciamo che la violenza contro le persone trans, gay, lesbiche, bisessuali, asessuali, intersex, non binarie esiste ed è difficile da eradicare: perché moltə ritengono innocuo il sentimento di dispiacere di cui La Russa parla e non ne riconoscono il portato discriminatorio, arrivando a perdonare a una figura istituzionale del suo calibro un’affermazione degradante nei confronti di milioni di persone in questo Paese.
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