di Carmen Cucci
Eravamo candide bambine con treccine tiratissime e fiocchetti di una gamma dal giallo paglierino all’azzurro pigiamino, parcheggiate la domenica pomeriggio davanti al VHS ormai consunto, in loop un cartone animato post-compiti scolastici. Che fosse la Bella Addormentata o Cenerentola, importava poco: non avendo ancora la minima idea di chi fosse Freud o cosa diavolo implicassero i complessi di Edipo o Elettra, una certa idea di amore assolutamente eteronormativa iniziò a sedimentarsi nella nostra coscienza di fanciulle coi denti da latte.
Tra danze tragicomiche con sconosciuti apparsi dal nulla e scomode scarpette di cristallo perse (fisicamente sfugge ancora il come) in folli corse verso zucche non ripiene, abbiamo finito per convincerci che il quid fosse tutto lì, nello scambio di secrezioni salivari tra noi ed uno-non-qualsiasi, ma capace di dare un senso ultimo alla nostra intera esistenza.
Crescendo, nelle asimmetrie dello sviluppo capita di rendersi conto di come il ruolo da lella addormentata possa stringere e che invece in spadino e livrea staremmo da dio, quindi bando a ciance e ornamenti per capelli dal dubbio gusto, sì a genuflessioni e baciamano. Forti di freschi studi ariosteschi, allora, lucidiamo pazientemente lo scudo durante l’attesa, senza poi esitare un sol secondo nel buttarci a capofitto in boschi di rovi dove addio mantello e calzamaglia, e arrivederci dignità, anch’essa sbrindellata.
Sì, perché ciò che si dimentica di specificare è che, dopo l’igienicamente ineccepibile bacio del risveglio, l’amata che dovrebbe (!) riamarci follemente in virtù dell’indomito eroismo mostratole potrebbe sgranare gli occhioni da cerva ferita e risponderci in maniera piccata: “Embé, chi te l’ha fatto fare?”, mentre noialtre si rimane lì, moralmente impalate e in pieno post-uppercut da e “vissero per sempre felici ed incoscienti”. Quindi, giusto per evitare di macchiare il tappeto buono con drammatici harakiri, potremmo avvalerci del leggero vantaggio che ahimè, ai nostri colleghi Eric e Filippo non è stato teoricamente concesso: quello di poter volgere lo sguardo verso le altre principesse azzurre come noi, mestamente incredule anch’esse dalla piega presa dagli eventi precedenti.
Insomma, in onore al codice cavalleresco, una birra non si nega e casomai potremmo scoprire di non essere immuni in prima persona al fascino del pennacchio sul cappello, liberateci finalmente dagli schemi prestabiliti ed animate dal buon proposito di non svegliare le dormienti, almeno per un bel po’. In fin dei conti, mal che vada, ci saremmo fatte una fedele compagna d’armi.
Pubblicato sul numero 19 della Falla – novembre 2016
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