30 ANNI DI LOTTA E UNA RETE FEMMINISTA PER DIRE NO ALLE VIOLENZE

«Senza di voi non so come avrei fatto perché pensavo che dovevo prendere e andare, ma andare dove?».

Sono le parole di una delle donne che hanno attraversato le Case Rifugio in pronta accoglienza gestite da Casa delle donne per non subire violenza. Il Rifugio è uno dei tasselli che compone il percorso di fuoriuscita dalla violenza intrapreso da donne stanche di relazioni abusanti che si rivolgono alla Casa di Via dell’Oro 3 a Bologna, attiva dal 1990. Oggi come allora un gruppo di donne, le operatrici, si dà da fare quotidianamente, assieme ad altre donne, per contrastare la violenza maschile attraverso molteplici azioni, tutte unite dal filo rosso della metodologia dell’accoglienza, fatta di relazione di fiducia tra donne, ascolto non giudicante, affiancamento nella strada accidentata attraverso la quale le donne si rimettono al mondo dopo gli abusi fisici, psicologici, sessuali ed economici. 

La metodologia dell’accoglienza ha il fine di illuminare la totalità della donna perché vada oltre il ruolo della vittima, riconoscendo al contempo le fragilità di tale condizione – temporanea! – e gli esiti che le violenze possono comportare. La relazione tra operatrice e donna permette a quest’ultima di recuperare l’interezza della sua persona e sentirsi nuovamente protagonista della propria esistenza, in un gioco di rispecchiamenti in cui si esperisce il principio femminista della relazione come cura, in cui il personale della propria vicenda di maltrattamenti è reso politico dalla volontà di affrontarlo insieme, non solo come un fatto personale, ma come l’esito di una cultura e di una socializzazione dei rapporti tra generi impregnata di discriminazioni e pregiudizi contro le donneI centri antiviolenza, presenti in Italia dagli anni ‘90, prendono infatti le mosse da una lettura femminista delle violenze maschili che ne collettivizza la responsabilità: il maltrattamento non è il fatto privato di una coppia in cui avviene all’improvviso la tragedia della gelosia o della tempesta emotiva, ma è il prodotto di una visione del mondo in cui all’interno della relazione romantica tra uomo e donna è naturalizzato lo squilibrio di potere. Secondo questa lettura la mascolinità virile è tale se dispone, in forme più o meno manifeste e brutali, della donna, intesa come oggetto da dominare. Se non riesce nell’intento, può anche decidere di disfarsene attraverso il femminicidio, l’uccisione di una donna in quanto tale (96 donne uccise nel 2019, a settembre 2020 ne contiamo 55). Le Case delle donne si rivolgono alle donne che vivono relazioni di intimità segnate da dinamiche violente, a quelle donne che sono limitate nel loro esercizio della libertà, spesso picchiate e abusate da partner, ex partner, comunque persone fidate. Donne sopravvissute alle molteplici espressioni del maltrattamento domestico, alla tratta, allo sfruttamento della prostituzione coatta e dell’accattonaggio. Sono le 692 donne che nel 2019 hanno fatto accesso alla Casa di Bologna, le 19 che hanno trovato accoglienza, assieme a* figl* nelle Case rifugio, le 67 accompagnate da 68 minori, che sono state ospitate presso le strutture di pronta accoglienza. Sono native, migranti, giovanissime, anziane, analfabete e laureate, benestanti o senza un reddito. Donne comuni, che potremmo essere noiNei Centri Antiviolenza, infatti, è confermata la diffusione endemica e democratica della violenza contro le donne, che si esplica come fenomeno strutturale e universale. In tal senso il patriarcato, terreno fertile che permette il radicamento delle violenze di genere, è una pandemia ben più nota al genere femminile (e a tutte le soggettività femminilizzate e/o non eteronormate) del Covid19, che da sempre determina isolamento sociale, stravolgimento della propria routine, deprivazioni di varia natura per se stesse e figl*. Per arginare e ribaltare l’assetto patriarcale, da 30 anni le donne fanno rete: nel 1994 nasce “Wawe, Women Against Violence Europe” (150 tra associazioni e singole), in Italia dal 2008 è attiva “DiRe, Donne in rete contro la violenza” (81 associazioni), in Regione dal 2009 è presente il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia Romagna (13 associazioni). Sono quindi necessarie sia una risposta di rete delle donne che una progettualità istituzionale e governativa consapevole della natura strutturale delle violenze, in grado di fornire risposte organiche, orientate secondo una prospettiva di genere, che abbiano al centro il sapere prodotto dalle donne all’interno degli spazi femministi dei Centri. È infine necessario riconoscere il lavoro delle operatrici, così da non ricadere nelle logiche di sfruttamento e precarizzazione tipiche dei lavori femminilizzati e garantire servizi qualificati per interrompere la trasmissione intergenerazionale delle violenze e supportare ciascuna e tutte le donne nell’esercizio del proprio diritto all’autodeterminazione.

Pubblicato sul numero 59 della Falla, Novembre 2020

Immagine in evidenza da peopleforplanet.it