30 ANNI DI LOTTA E UNA RETE FEMMINISTA PER DIRE NO ALLE VIOLENZE
«Senza di voi non so come avrei fatto perché pensavo che dovevo prendere e andare, ma andare dove?».
La metodologia dell’accoglienza ha il fine di illuminare la totalità della donna perché vada oltre il ruolo della vittima, riconoscendo al contempo le fragilità di tale condizione – temporanea! – e gli esiti che le violenze possono comportare. La relazione tra operatrice e donna permette a quest’ultima di recuperare l’interezza della sua persona e sentirsi nuovamente protagonista della propria esistenza, in un gioco di rispecchiamenti in cui si esperisce il principio femminista della relazione come cura, in cui il personale della propria vicenda di maltrattamenti è reso politico dalla volontà di affrontarlo insieme, non solo come un fatto personale, ma come l’esito di una cultura e di una socializzazione dei rapporti tra generi impregnata di discriminazioni e pregiudizi contro le donne. I centri antiviolenza, presenti in Italia dagli anni ‘90, prendono infatti le mosse da una lettura femminista delle violenze maschili che ne collettivizza la responsabilità: il maltrattamento non è il fatto privato di una coppia in cui avviene all’improvviso la tragedia della gelosia o della tempesta emotiva, ma è il prodotto di una visione del mondo in cui all’interno della relazione romantica tra uomo e donna è naturalizzato lo squilibrio di potere.
Pubblicato sul numero 59 della Falla, Novembre 2020
Immagine in evidenza da peopleforplanet.it
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