di Mattia Macchiavelli

Claudio Bindella, classe 1967, è pittore, fotografo e artista milanese. Nel suo lavoro convivono l’amore per l’arte classica e un approccio contemporaneo, in cui pittura e fotografia si rimandano a vicenda. È possibile apprezzare i suoi lavori nella sua recente pubblicazione A world of happiness e sul sito www.claudiobindella.it

Per il nostro poster hai scelto di rappresentare il rapporto daddy-twink: cosa ti affascina di questa tematica?

In realtà non potevo lasciarmi scappare l’occasione di ritrarre un uomo in giacca e cravatta, dopo tanti nudi cercavo un po’ di trasgressione. Scherzi a parte, non credo di essere interessato a questo genere di classificazioni, diciamo che tra i vari argomenti che tratterete in questo numero, era quello di cui sapevo qualcosa di più.

Che ruolo hanno gli stereotipi nell’arte e come hai lavorato con questo specifico stereotipo?

Non mi sono mai interessato agli stereotipi ma ho sempre avuto interesse per le categorie, come spazi ideali in cui volontariamente andiamo a rinchiuderci, sovrastrutture che accerchiano la realtà, impoverendola di possibilità. Nel sorriso del ragazzo c’è la chiave del disegno secondo me, marchio di complicità e accondiscendenza, segno che arricchisce le possibilità di lettura, aprendo un varco nell’interpretazione più scontata.

Che rapporto c’è tra corpo e potere?

La mia Bibbia sull’argomento è Il corpo di Umberto Galimberti. Il corpo è organismo per la scienza, forza lavoro per l’economia, carne da redimere per la religione, obbligo di godimento per il capitalismo. Ma siamo poi sicuri che questo corpo sia un’unità? Per capire le parole del corpo una lettura imprescindibile è La cultura greca e le origini del pensiero europeo di Bruno Snell.

Oggetto/soggetto estetico o funzionale, superficie da scrivere o organo parlante, corpo esposto o nascosto; si tratta di una questione davvero complessa. Posso solo dire che nel mio lavoro tali questioni sono presenti sotto la superficie. Grazie poi alle tue domande di questi giorni sono giunto alla consapevolezza di qualcosa di molto evidente e che tuttavia non vedevo, che per me il corpo è il corpo dell’altro. Non ho mai realizzato un autoritratto e questo è abbastanza insolito. Chissà che approfondire questo aspetto non mi porti a realizzare qualcosa di nuovo.

Quale ruolo assegni alla sessualità nella tua personale esperienza artistica?

Per me è fondamentale, la sessualità è ovunque, in ogni cosa. È lì che sono depositati i più grandi segreti del nostro essere, è il posto in cui andare in cerca di illuminazioni.

Ti definiresti un attivista LGBT+?

Lo sono dal mio studio e col mio lavoro che è tutto in questa direzione. Sono un timido che ha trovato il suo modo per farsi sentire.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

Ora sto lavorando a una tela lunghissima dedicata agli artisti di strada, una via ideale in cui si susseguono acrobati, clown, cantanti, musicisti e molto altro. Poi ho in cantiere un progetto su Venezia e il sogno di realizzare una graphic novel. Spero presto in una mostra.

Una tradizione non scritta vuole che io ti faccia una domanda scomoda ma fondamentale: quanto ce l’hai lungo?

Perché fingi di non saperlo?

pubblicato sul numero 18 della Falla – ottobre 2016