RIFLESSIONI CABALISTICHE SUL FEMMINILE

di Francesco Colombrita

Sul finire dell’Ottocento, nell’introduzione al suo Magia della Cabala, Samuel Mathers invitava ogni cristiano a domandarsi: «Come posso pensar di capire l’Antico Testamento se ignoro come lo abbia interpretato il popolo di cui esso rappresenta il libro sacro?» Per lui, come per molti altri studiosi, la chiave per questa comprensione sta nella Cabala, la dottrina esoterica ebraica. Tale corrente di pensiero ricorre a complicati sistemi di sovrapposizione e scambio di lettere con il corrispondente valore numerico (in ebraico antico ogni lettera ne ha uno) al fine di scoprire messaggi nascosti nel testo. A questo allude la celeberrima espressione dell’Apocalisse di Giovanni «Chi ha intelligenza calcoli il numero della Bestia». Per quanto riguarda gli aspetti filosofici e cosmogonici della Cabala, l’idea che soggiace al sistema è quella che la creazione sia frutto di un’emanazione dall’unità divina, esemplificata da una serie di sfere (sephiroth) che racchiudono in sé tutte le caratteristiche dell’uno originario. Tali premesse sono utili all’analisi di alcuni concetti che riguardano la percezione del femminile nel libro sacro. Innanzitutto la parola che abitualmente si traduce con Dio è l’ebraico Elohim. Secondo molti studiosi tale parola è un’unione di un termine di radice femminile, cui è stata aggiunta la desinenza maschile plurale. La deità originaria sarebbe dunque concepita come un’unione perfetta di attributi maschili e femminili non ancora scissa. Di questo dettaglio si è persa, colpevolmente, traccia nelle traduzioni successive. L’omissione acquista notevole rilevanza se si tiene in conto che, durante il Medioevo, molti lettori biblici si erano accorti di un fatto curioso riguardante la Genesi: alla fine di ogni giornata della creazione il testo riporta l’espressione «Dio vide che era cosa buona», tranne per quanto riguarda il secondo giorno. Una convinzione misogina e scaramantica dell’epoca associava la donna al numero due e nacque giocoforza l’associazione con questo passo. Una lettura più attenta svela qualcosa di diverso. Nel secondo giorno Dio separa «le acque, che sono sotto il firmamento, dalle arcque, che son sopra il firmamento», questa azione sembra corrispondere alle emanazioni delle due prime sephiroth cabalistiche (che rappresentano due polarità opposte) e cioè la divisione originaria dell’unità divina. Questo non implica certo un’attribuzione negativa alle caratteristiche considerate femminili. Caso mai sembra che l’origine del male risieda nella divisione stessa. La nascita di questa percezione in età medievale può essere legata a volgarizzazioni della simbologia cabalistica legata all’acqua. Il nome della sephirah che esemplifica il femminile è Binah, “l’Intelligente”, e tramite gematria (una delle tecniche numeriche di cui sopra) il suo attributo principale diviene “il grande mare”. Verrebbe da pensare che nel tentativo di trarre a viva forza dalla Bibbia coercizioni e divieti, appropriandosi della possibilità di interpretazione del testo, il mondo cristiano latino medioevale abbia appiattito, e consapevolmente cancellato, tutto l’universo di riferimento da cui era nato l’Antico Testamento, attribuendo alla donna caratteristiche che corrispondevano unicamente al sentire dell’epoca. Dimenticando, fra le altre cose, che curiosamente sembra alludere proprio alla forza femminile un importante passo dei Salmi riferito alla sconfitta della Bestia: «Tu hai spezzato la testa del drago con le acque». 

Pubblicato sul numero 49 della Falla, novembre 2019