di Irene Pasini

Se cerchiamo su Google ‘strage di Orlando‘ il link più recente porta la data del 16 giugno 2016, ovvero a ben quattro giorni dopo il reale accadimento dei tristi eventi; se invece decidessimo di digitare ‘strage Bataclan‘ il più attuale risalirebbe al 17 luglio 2016 e cioè a sette mesi e quattro giorni dall’attacco che ha paralizzato Parigi; volendo rintracciare qualcosa di temporalmente più vicino alla notte del Pulse in Florida potremmo provare a scrivere ‘strage di Nizza‘ e anche in questo caso il primo nella lista risalirebbe al 6 agosto, a poco meno di un mese dall’attentato in questione.

Il nostro numero ‘estivo’ usciva i primi di luglio letteralmente urlando contro quel silenzio che gran parte dei media avevano riservato alla notizia i giorni successivi al 12 giugno; si voleva denunciare, con la rabbia di chi quell’evento lo stava vivendo come un vero e proprio 11 settembre, il fatto che la vicenda venisse sempre più trattata come una notizia di serie B, etichettata da molti con la targa ‘LGBT+’ e in quanto tale, esclusiva e declassata, puro appannaggio della comunità che era stata colpita.

Risalendo poi al percorso delle notizie su Orlando, fino al 14 giugno il tema prepotentemente riportato dai media italiani era quello dei probabili legami con l’Isis, mentre alcuni approfondimenti più politici collegavano l’accadimento alle elezioni presidenziali statunitensi e al dibattito sulle armi da fuoco; dal 16 giugno, però, le notizie cominciarono a soffermarsi sul fatto che il killer frequentasse il Pulse e usasse Grindr.

E dopo? Il vuoto. Le principali testate smisero infatti di parlare di Orlando a distanza di pochi giorni, siccome la notizia era ormai stata archiviata come “non più di pubblico interesse”.
Il 22 luglio 2011 il norvegese Anders Breivik uccise 77 persone in due azioni separate: dapprima fece esplodere una bomba nei pressi del palazzo del governo di Oslo mentre successivamente, recatosi sull’isola di Utoya, una volta travestitosi da poliziotto diede luogo a una sparatoria di massa durante un raduno del movimento progressista. Dichiarò in seguito che lo scopo della sua rappresaglia era di salvare l’Europa dal multiculturalismo.

Se digitiamo su Google ‘strage di Utoya‘ la notizia più recente è quella del 23 luglio 2016, la seconda del 18 luglio 2016, all’interno di cui il sopracitato massacro viene paragonato agli eventi di Parigi: in questo stesso articolo non c’è traccia di Orlando, del Pulse e delle sue 49 vittime.

E quindi sì, lo sapevamo già, il ‘Je suis Orlando‘ del caso non è partito come per tutti gli altri attentati. Non in Europa, almeno, e di sicuro non in Italia. Ma davvero sono mancate empatia e vicinanza per quelle vittime uccise ignobilmente da un fedele dello Stato Islamico, omofobo e psicolabile, semplicemente perché il tutto è avvenuto in un locale gay?

O forse bisognerebbe allegarci il fattore della vicinanza geografica? Orlando, in fondo, non è Parigi. Alla percezione decennale della comunità LGBT+ come qualcosa di chiuso in se stesso e nelle proprie lotte, possiamo sicuramente aggiungere la distanza emotiva che, al solito, si ritrova a rispecchiare quella chilometrica. Ma è abbastanza? Insomma, la Rete in fondo c’è stata a sventolare hashtag, vignette, slogan, pensieri, indignazione. C’è stata, seppure un po’ meno.

E se è vero che in Italia Orlando è stata velocemente dimenticata in meno di 24 ore, così non si può dire in tante altre parti del mondo, anche se culturalmente lontane dalla Florida: a Porto Rico è stato innalzato un memoriale, dedicato alla strage del Pulse di Orlando all’interno del Third Millennium Park, composto da sette monoliti rettangolari con i colori dell’arcobaleno e inaugurato dal sindaco Carmen Yulin, mentre a inizio settembre l’artista australiana Sia ha reso pubblico il video di un nuovo brano intitolato The Greatest dedicato alle 49 vittime dell’attacco omofobo.

E la comunità LGBT+? Cos’ha compiuto per far in modo che la più grande strage a lei rivolta non venisse dimenticata? Perché, se è indubbio che molti Pride italiani hanno speso tempo ed energie per ricordare il massacro, è altresì sicuro che la stessa collettività rainbow il 19 giugno rendeva trend topic di Twitter Orange is the new black, non spendendo neanche più uno dei 140 caratteri per Orlando.

E allora, forse, mentre denunciamo il gravissimo silenzio delle televisioni, dei giornali, dei tweet e di Facebook, dovremmo anche iniziare a domandarci in che modo noi stessi abbiamo intenzione di elaborare e integrare nella nostra storia e nel nostro movimento quella notte di spari al Pulse, o rischieremo di diventare una comunità ben consapevole delle sue radici a Stonewall che però ignora come, non molto distante da New York, a più di 40 anni di distanza, un’altra notte di giugno, un ragazzo con un mitra abbia inferto 49 duri colpi alla sua lotta, lasciandola senza parole.

pubblicato sul numero 18 della Falla – ottobre 2016

foto: Watermark, PBS