Il desiderio omoerotico maschile nella letteratura monastica 

«Ho preso in mano colui che la mia anima ama, l’ho stretto, l’ho abbracciato, l’ho baciato a lungo. Ho percepito come con gratitudine lui accettò questo gesto d’amore quando, tra un bacio e l’altro, lui stesso aprì la bocca, affinché io baciassi più profondamente».

Il bacio appassionato descritto in queste righe vede coinvolti due protagonisti inaspettati: l’autore e voce narrante è il monaco benedettino Ruperto di Liegi (1075 ca-1129), che, nel De gloria et honore filii hominis super Mattheum, descrive il suo trasporto, certamente anche spirituale ma realizzatosi in maniera più che mai carnale, per un’immagine di Gesù Cristo situata sopra l’altare della chiesa presso cui si trovava. Il Cristo stesso, fattosi nuovamente carne nella prospettiva del teologo benedettino, secondo la narrazione, avrebbe risposto con altrettanta passione al bacio del monaco.

La visione di Ruperto non è l’unica, ma anzi rappresenta un tropo frequente nella letteratura monastica: quello del Cristo, dipinto o più spesso nella forma del crocifisso scolpito, che si anima tremando, parlando, ma anche spesso abbracciando o baciando chi lo osserva e prega per lui. In molte narrazioni proprio questo momento viene descritto come quello che ha portato alla conversione definitiva. Lo stesso San Francesco, ad esempio, racconta di aver sentito il legno del crocifisso animarsi e parlare, ma in molti altri casi l’incontro con Cristo viene descritto in maniera molto più fisica, come nel caso di Ruperto di Liegi, quando non erotica, tanto che è impossibile non leggere questi episodi come l’espressione di un desiderio omoerotico e/o omosessuale da parte degli autori.

Come nota lo storico Robert Mills, si deve inoltre tenere conto del fatto che si tratta di opere «scritte da uomini, su uomini, destinati a uomini, che evocano desideri amorosi diretti verso l’immagine di una divinità maschile scarsamente vestita», per cui difficilmente è possibile negare la carica omoerotica che potevano avere queste letture.

Questo tipo di narrazioni si diffusero ampiamente anche nei secoli successivi. Nel XVI il mistico e santo Giovanni della Croce scriveva parlando del suo amore per Cristo: «A lui i miei desideri, a lui la mia carne, la mia carne ha sete… Vieni da me, mio amante!». Mentre due secoli prima, l’eremita Richard Rolle aveva redatto uno dei principali testi del misticismo medievale inglese, l’Incendium Amoris, in cui l’incontro con Gesù era rappresentato attraverso immagini che molt* studios*, tra cui Bred Peters e Robert Mills, hanno riconosciuto come apertamente omoerotiche: oltre a baci e ad amplessi, sono presenti anche metafore per indicare atti penetrativi in cui sia Cristo che il religioso sono coinvolti.

Nonostante queste nuove letture del testo di Rolle e di pochi altri autori, la storiografia generalmente ha cercato di desessualizzare le narrazioni di questi religiosi e monaci, principalmente spostando l’attenzione sul fatto che si tratti di allegorie o metafore per indicare l’amore spirituale, e al tempo stesso di interpretare il rapporto con il Cristo in chiave eterosessuale. Entrambi questi tipi di approcci tuttavia derivano dalla tendenza di «sottoscrivere una narrativa che percepisce le immagini di queerness come “problemi” da risolvere, piuttosto come possibilità da abbracciare» (Mills).

Allontanare questo tipo di narrativa non solo permetterebbe alla storiografia di trovare nuove chiavi di lettura, ma anche soprattutto riconoscere e rivendicare la possibilità e la molteplicità delle esperienze queer, anche in contesti apparentemente lontani da queste.





BIBLIOGRAFIA

Per approfondire consigliamo
B. Peters, ‘Rolle’s Eroticized Language in The Fire of Love’, Mystics Quarterly, 1995

Immagine nel testo da wikimedia.org, wikipedia.org